Là. Dove osano i polli

Non voglio parlare di realismo. In fondo si tratta di un posto in cui si può imparare a sparare fulmini dalle mani che neanche l’imperatore di Guerre Stellari. Non voglio parlare di etica. In fondo si tratta di un posto in cui la polizia locale prende il primo pirla che passa e gli chiede se […]

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Non voglio parlare di realismo. In fondo si tratta di un posto in cui si può imparare a sparare fulmini dalle mani che neanche l’imperatore di Guerre Stellari.
Non voglio parlare di etica. In fondo si tratta di un posto in cui la polizia locale prende il primo pirla che passa e gli chiede se per favore può occuparsi dei banditi sulla montagna.
Non voglio parlare di economia. In fondo si tratta di un posto in cui i contadini ti comprano patate raccolte dal loro stesso campo anche se non usi uno spadone a due mani per convincerli.
Parlo mai di astrofisica? Parlo mai di biologia, di neuropsichiatria, di botanica o di algebra? Parlo mai di epigrafia greca? Parlo mai di elettronica? Parlo mai delle ditte dei ponti dell’autostrada? Ok, probabilmente lo faccio, ma non questa volta. Questa volta voglio solo parlare di un gioco in cui l’ebano si cava dalle miniere come un piccone. Di un gioco in cui il mercurio si getta nella forgia per ottenere lingotti. Di un gioco in cui dopo aver forgiato un’armatura di vetro il vostro compratore non vi domanderà se lo state prendendo per il culo o se siete scemi. Di un gioco in cui un vostro amico vi consentirà di entrare in casa sua, cominciare ad aprirgli tutti i cassetti, intascare l’oro e portare via tutto il cibo che avete, ma se provate a prendergli un rotolo di carta si incazzerà come un picchio e chiamerà le guardie. Un gioco in cui tutto è possibile, ma è mai possibile che una vena d’oro si esaurisca in tre colpi di piccone e che una miniera (ma di quelle ricche) contenga tre vene quando va bene? Non che io mi lamenti delle miniere, intendiamoci: sono miniere sviluppate sul modello di sfruttamento dei sette nani di Biancaneve, quindi con pale e con picconi noi ogni dì veniamo qua, è il tipo di lavoro che ci dà felicità. Altrimenti non si spiegherebbe come sia possibile che ogni vena di metallo, qualunque metallo, spurghi fuori cascate di rubini e ametiste mentre la si scava. Non mi lamento nemmeno della caccia e della pesca, a ben vedere: un posto in cui i salmoni si raccolgono, neanche fossero mirtilli su di un cespuglio, e lo si fa immergendosi nel fiume alla maniera degli orsi; un posto in cui cacciare conigli dev’essere una specie di sport patrocinato dal governo, neanche fosse la Nuova Zelanda, e le volpi conducono a tesori oltre ogni immaginazione, neanche fosse il Giappone. Né posso a tutti gli effetti lamentarmi di agricoltura e allevamento, anche se i mulini sono edifici decorativi per truffare i turisti, neanche fosse l’Olanda, e una gallina si permette di deporre l’uovo una volta ogni quindici giorni, neanche fosse… beh, neanche fosse l’Olanda. L’attesissimo seguito di Oblivion, da questo punto di vista, non è affatto una delusione: mantenendosi fedele all’idea di un’ambientazione libera portata all’estremo, introduce la possibilità di intraprendere attività quotidiane come la cucina, lavori manuali come il minatore e il taglialegna, carriere artigiane come il fabbro oltre all’immancabile alchimista e incantatore. Per la prima volta quindi consente all’avventuriero un percorso differente da quello del solito cacciatore di taglie: quando sarò arcimago all’Accademia di Magia (perché lo so, sarò arcimago all’Accademia di Magia) potrò fare il culo ai miei apprendisti dicendo loro che “ai miei tempi, io andavo in miniera per potermi permettere i libri di incantesimi”. E sarà, per una volta, la verità. Ma a dieci anni dal precedente, e con due Fallout di mezzo, devo ammettere che mi aspettavo però qualche evoluzione in più. Ipersonaggi si lamentano un po’, è vero, se entri in casa loro mentre stanno cenando e cammini sulla tavola buttandogli in aria piatti e stoviglie, e hanno da dire se mentre sei a casa loro ti metti a sistemare l’inventario lasciandogli sul pavimento la tua robaccia, ma è quel lamentarsi estremamente pacato che non si spinge oltre la linea di dialogo (se dialogo si può definire una linea cui non è possibile rispondere). Il concetto di armi e armature che si rovinano è stato, purtroppo, eliminato, sostituito dalla possibilità di migliorare armi e armature forgiate (e non fatevi domande quando vi troverete ad affilare un arco o un martello con la mola) e la possibilità di caratterizzare un personaggio, dopo che Fallout sembrava volersi orientare in quel senso, è tornata a essere semplicemente questione di un paio di scelte durante la trama principale. Certo, i punti di focus del gioco sono altri, e si è troppo impegnati a raccogliere fiorellini di bosco per sentirne la mancanza, ma devo confessare che questa mancanza è uno dei motivi che mi sta spingendo a sviluppare il mio personaggio a suon di picconate in miniera e di incantesimi imparati sui libri: forse dover per forza essere l’eletto che guida l’esercito alla vittoria, senza poter essere lo stronzo che conduce il suo paese alla rovina, mi ha un po’ stancata. Chissà.

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