BIM Arena | Firenze (09.10.2019)

Come vi annunciavo qualche giorno fa, ho avuto l’onore di essere invitata alla giornata di apertura del ciclo di iniziative dedicate al BIM e organizzate dalla Fondazione Architetti di Firenze in congiunzione astrale con l’Ordine locale. il programma si articolerà in cinque date principali, tre delle quali dedicate alla progettazione integrata, a partire dal 2020. Si […]

Come vi annunciavo qualche giorno fa, ho avuto l’onore di essere invitata alla giornata di apertura del ciclo di iniziative dedicate al BIM e organizzate dalla Fondazione Architetti di Firenze in congiunzione astrale con l’Ordine locale.

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il programma si articolerà in cinque date principali, tre delle quali dedicate alla progettazione integrata, a partire dal 2020. Si arricchirà poi di BIM | Talks serali, due dei quali già pianificati per il 24 gennaio e il 20 febbraio, entrambi dedicati al BIM per il patrimonio storico che, come abbiamo visto mercoledì e come si può facilmente immaginare, è un tema molto sentito nel panorama fiorentino.

Il calendario dell’iniziativa
Il calendario dell’iniziativa

Durante la prima giornata, ho avuto il piacere di essere preceduta da Duilio Senesi, presidente dell’Ordine, e da Lapo Galluzzi, anima dell’iniziativa, che ha fatto uno splendido inquadramento teorico e culturale del ciclo di iniziative, oltre che dagli altri saluti istituzionali di Roberto Masini e Simone Marzola, entrambi consiglieri dell’Ordine con Lapo.

In particolare, il terreno agli interventi è stato preparato da Lapo Galluzzi con un inquadramento di altissimo spessore culturale, che in poche pennellate ha delineato il percorso che porta un progettista dal disegno al BIM, attraverso una pratica di produzione modelli che non ha nulla di inedito.

«Ho scritto e disegnato ogni giorno, mescolando i fatti di ogni giorno, i pensieri, le paure e le speranze, cose paesaggi e architetture, progetti e costruzioni. I quaderni neri registrano la mia vita come fosse stata un’unica ininterrotta giornata di lavoro. Ho usato il disegno come il pescatore la rete: la gettavo e aspettavo che le idee (pesci guizzanti e imprevedibili) vi restassero impigliate. Poi ho capito che erano queste maniacali attività dello scrivere e disegnare che generavano le idee e le rendevano visibili.»
Adolfo Natalini: chi sposa lo zeitgeist resta presto vedovo.
Dialogo con il protagonista del sesto appuntamento di «Paradigma – Il Tavolo dell’Architetto», le mostre al Museo Novecento Firenze Di Cristina Donati

Non solo è stato portato all’attenzione del pubblico come i modelli siano patrimonio comune del linguaggio di un architetto, citando come implicito riferimento Brunelleschi e la sua abitudine di scolpire sul momento modelli per illustrare le lavorazioni alle maestranze.

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Anche laddove la modellazione digitale venisse vista come qualcosa di straordinariamente nuovo, figlio di questo nuovo pazzo millennio, basta un poco di ricerca nella letteratura specializzata per rendersi conto che non è così. Ed il libro portato ad esempio non appartiene alla letteratura americana, non è uno scritto di Eastman o Engelbart, ma è un prodotto nostrano: otto lezioni di architettura pubblicate nel 1977 e firmate da Ludovico Quaroni, architetto urbanista romano abilitato a Milano, prolifico saggista e docente, membro dell’Associazione per l’Architettura Organica di Bruno Zevi, ma anche firmatario della Dichiarazione Politica del Movimento Comunità di Adriano Olivetti nel 1953.

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Su questa onda lunga, si è innestato l’intervento di Gianluca Borzoni, formatore locale, che ha infarinato la platea con qualche vantaggio (e qualche svantaggio) del BIM, corredato da qualche scorcio di modellazione a tema storico.

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Una delle slide di Gianluca Borzoni

Il tema è stato poi avidamente esplorato e sviscerato da Vincenzo Donato, BIM manager di Hydea con un ricco curriculum da ricercatore, che ha parlato di BIM applicato al recupero e al restauro degli edifici storici partendo da una ricerca del 2014 di Rebekka Volk, Julian Stengel e Frank Schultmann, a sua volta uno studio sulla letteratura esistente in materia. In particolare, gli schemi presentati indagano il rapporto tra la modellazione BIM, un edificio storico e l’ipotetico rispetto di un’architettura informativa come quella delineata nella ISO 22263:2008 (Organization of information about construction works), che non so onestamente in quanti conosciamo e/o prendiamo in considerazione, dato che non viene citata spesso e ormai si parla di BIM un po’ per sentito dire.

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In questo contesto, le fasi di rilievo di un edificio storico sono state presentate in chiave medica:

  1. Anamnesi, ovvero l’osservazione del “paziente” e l’orientamento verso una “terapia”;
  2. Diagnosi, ovvero l’identificazione della specifica patologia e, di conseguenza, della cura più adatta;
  3. Terapia, ovvero la messa in atto della cura;
  4. Riabilitazione, ovvero il recupero delle piene funzionalità;
  5. Prevenzione.
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Una chiave interessante.

Vincenzo non ha nemmeno risparmiato di far vedere alcune esperienze pratiche e, con molta onestà, ha parlato degli esperimenti di successo così come delle sperimentazioni più ardite, per scendere fino alle  problematiche ancora in attesa di una soluzione soddisfacente. Lodevole l’intento di lanciare un dibattito tecnico su questi temi e, a giudicare dalla risposta del pubblico in sala, Firenze sembra proprio il luogo giusto per farlo.

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Il mio contributo è stato decisamente meno poetico: su richiesta degli organizzatori, ho provato a fare un po’ di chiarezza circa le fantomatiche figure specialistiche del BIM: gestori, coordinatore e – il mio preferito – l’operatore avanzato.

Un sacco di gente, ma serve davvero tutta?
Un sacco di gente, ma serve davvero tutta?

Ho cercato di tranquillizzare la platea circa l’effettiva necessità di comprarli tutti, ragionando sulla scalabilità di un’implementazione e rubando un concetto al DevOps, un metodo di svluppo del software che punta molto sulla comunicazione e le cui somiglianze con i principi collaborativi del BIM non cessano mai di soprendermi. Il concetto è quello del Minimum Viable Team, il nucleo minimo di specialisti che si può considerare un team coordinato, al di sopra di una certa cubatura, di una certa dimensione, di una certa sofisticatezza geometrica o informativa.

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Al di sopra di questo nucleo minimo, si tratta di scegliere a cosa si vuole rinunciare, considerando le varie mansioni dei diversi ruoli e considerando che la pianificazione deve venire da solide basi in produzione: è perfettamente avere un BIM manager se non si dispone di progettisti abili a lavorare in BIM, perché quello che si avrà sarà a tutti gli effetti solo un modellatore con un titolo altisonante.

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E nella digressione circa la natura del cosiddetto specialist, che non è in alcun modo figura diversa da quella che siamo abituati a chiamate progettista, non ho potuto lesinare un consiglio non richiesto: la raccomandazione di non lanciare in parallelo due versioni del progetto (la tradizionale CAD e quella in BIM). Le conseguenze non possono che essere orribili.

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Quindi la domanda chiave diventa: quali delle figure specialistiche BIM sono davvero figure nuove e quali invece sono ridondanza di figure che abbiamo già ma non si occupano di BIM? La risposta non è semplice e non è univoca. Certamente non possiamo affrontare un futuro di progettisti inabili al BIM e salvati da specialisti che rimodellano il progetto prendendo decisioni arbitrarie dietro le quinte. Certamente il coordinator, parte del mininum viable team, ha tutte le caratteristiche del project manager. Ma svolge anche altre mansioni, che difficilmente potranno mai essere addossate sulle già cariche spalle di un capocommessa.

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Esplorando letteratura parallela alla nostra, sembra che la dinamica non sia inedita né un parto della nostra industria: la nascita di nuove figure in fascia dirigenziale e una piena integrazione con le fasce operative sembra essere caratteristica fondante della digitalizzazione, almeno secondo un report di Gartner del 2014 intitolato Taming the Digital Dragon, che consiglio a tutti.

Considerando quindi un mestiere come un’attività di carattere prevalentemente manuale appresa genera,mente con la pratca o il tirocinio (Treccani), il BIM probabilmente non lo è: il BIM specialist è destinato a scomparire come termine, tanto quanto è successo al CDA drafter. Se tutti lavoreranno in BIM: non ci sarà più bisogno di specificarlo.

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Viceversa, la parte gestionale e di coordinamento rischia di non andare davvero da nessuna parte e quindi, forse, possiamo fare a meno di un BIM manager (danno solo problemi) e magari ribattezzare il BIM specialist, ma rischiamo di non riuscire davvero mai a liberarci del BIM coordinator. E considerato tutto quello che deve fare questo poveraccio, tutti i giorni, per portare a termine un progetto in BIM, direi che la figura merita un po’ di riconoscimento. Etimologicamente potremmo addirittura arrivare a dire che il suo non sia un mestiere, ma un’arte.

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