Ancora riguardo allo scandalo del Cristo morto

Anche dopo l’estate, continua (giustamente) la (giusta) polemica. Peccato che l’articolo in questione sia pieno di [CENSURA]. Il pezzo, dal Corriere di oggi, perdona facilmente la soprintendente di Brera (tanto attenta e sensibile, e in più il giornalista la conosce…) che rifiuta un quadro per motivi generici, mentre la direttrice della Ca’ d’oro, che ne […]

Anche dopo l’estate, continua (giustamente) la (giusta) polemica.
Peccato che l’articolo in questione sia pieno di [CENSURA]. Il pezzo, dal Corriere di oggi, perdona facilmente la soprintendente di Brera (tanto attenta e sensibile, e in più il giornalista la conosce…) che rifiuta un quadro per motivi generici, mentre la direttrice della Ca’ d’oro, che ne rifiuta un altro perché in restauro, è "inspiegabile". E soprattutto non è amica sua. Sorvoliamo poi sulla superficialità ed il qualunquismo (tra i più tipici del Corriere della Sera ormai da tempo) di quel «ma davvero servono due mesi per stabilire come intervenire sul perizoma». Il culmine dell’idiozia è toccato dall’appello «meno mostre monografiche e più mostre di ricerca». Ha ha, perché, una nuova mostra monografica come pensi sia fatta, prendendo un libro di storia dell’arte, copiando giù la biografia e mettendo le opere in ordine cronologico alle pareti? E quelle che citi –
di Cesare Brandi, Roberto Longhi, Rodolfo Pallucchini, Umberto Baldini, Cesare Gnudi – non erano forse mostre monografiche e di ricerca? E, allo stesso tempo, una mostra tematica non può essere banale e trita come la recente (inguardabile) di LineaD’ombra sugli impressionisti e la neve?

L’arte dei veti: meglio prestare il Mantegna conteso – Arturo Carlo Quintavalle
Diciamocelo: i direttori di museo e i soprintendenti detengono un potere enorme, fra l’altro quello di negare i prestiti. A volte lo spostamento delle opere viene pensato automaticamente come danno, ma se vi sono tutte le garanzie e i pezzi sono per giunta di piccolo formato perché dire di no? Giustamente la soprintendente Carla Di Francesco sottolinea la delicatezza della tempera su tela con il «Cristo morto» di Mantegna, ma credo davvero che se si adottassero tutte le più avanzate misure di tutela l’opera, in clima box, sistemata orizzontalmente, accompagnata da restauratori e dai responsabili della Pinacoteca di Brera, potrebbe ben viaggiare, essere sistemata nel luogo più adatto e felicemente ritornare a Milano come è avvenuto qualche anno fa in occasione della mostra mantovana «La Celeste Galeria». Conosco la soprintendente, è attenta e sensibile, quindi forse il problema potrà essere risolto. Inspiegabile invece il rifiuto del «San Sebastiano» della Cà d’Oro: la direttrice comunica che l’opera è in restauro; benissimo, ma davvero servono due mesi per stabilire come intervenire sul perizoma svolazzante e trafitto dalle frecce? Per giunta le dimensioni e la conservazione del pezzo non pongono ostacolo alcuno. E allora? Inoltre la stessa direttrice, Adriana Augusti, certo appassionata e attenta, afferma che «il museo senza San Sebastiano è come ferito», ma è proprio questa idea del Museo come corpo, e corpo immobile, che va discussa, il museo è una stratificazione nel tempo di donazioni, acquisti, a volte anche sottrazioni, il Museo è un luogo dove culture diverse si incontrano. E lo sono anche di più le mostre. Questa di Mantegna, su tre sedi, Verona, Padova e Mantova, con un contributo di studiosi imponente, è una occasione da non perdere: mostrare a mezzo milione di visitatori questi dipinti del Mantegna è un momento di alta civiltà. E allora conviene ricordare che i prestiti molte volte, troppe, vengono inspiegabilmente negati. Dunque si constatano troppi dinieghi? Molte volte avviene il contrario: per una mostra d’arte medioevale abbiamo ottenuto dai soprintendenti e direttori la massima collaborazione e importanti, generosi prestiti prima di tutto in Lombardia; ma forse sul Rinascimento e sui grandi nomi si esercita una pressione diversa. Diciamolo, le mostre monografiche sono ancora oggi quelle più ovvie, quelle che attraggono di più i visitatori; quando nel 1960 Giovanni Paccagnini fece la sua mostra di Mantegna proponeva anche grandi novità: le sinopie del portico del Sant’Andrea di un aiuto del Mantegna e del Correggio, inoltre presentava un gruppo importante di sculture, e poi tanti dipinti: con circa 300 mila visitatori, cominciò allora il consenso di massa alle mostre d’arte. Dopo solo gli Impressionisti, ben più di Raffaello, Tiziano, Michelangelo, attraggono un pubblico enorme, salvo, e siamo sempre a Mantova, la mostra «La Celeste Galeria» che di visitatori ne ha fatti mezzo milione, e non era una monografica. Allora che fare? Stimolare i soprintendenti a «liberare Mantegna» ove lo stato di conservazione, come parrebbe nei due casi indicati, lo permetta, ma fare sì che gli Uffici preposti alla tutela siano sempre coinvolti nelle rassegne. Auspico dunque una forte collaborazione fra studiosi di qualità e, per il futuro, meno mostre monografiche e più mostre di ricerca, come accadeva dagli anni ’30 ai ’70, con le rassegne di Cesare Brandi, Roberto Longhi, Rodolfo Pallucchini, Umberto Baldini, Cesare Gnudi.

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