MK5 (4) – Computational e Generative Design

Nella nostra quarta giornata tematica, e dopo aver fatto un tuffo nel mondo della robotica, siamo tornati a temi più consueti e abbiamo cercato di sfruttare quanto appreso in tema di automazione per parlare di computational design o, nella definizione di Arturo Tedeschi che nettamente preferisco, di Algoritmic-Aided Design. Hanno aperto la giornata, come consuetudine di […]

Nella nostra quarta giornata tematica, e dopo aver fatto un tuffo nel mondo della robotica, siamo tornati a temi più consueti e abbiamo cercato di sfruttare quanto appreso in tema di automazione per parlare di computational design o, nella definizione di Arturo Tedeschi che nettamente preferisco, di Algoritmic-Aided Design.

Hanno aperto la giornata, come consuetudine di questo blocco di master, le presentazioni di:


Uno dei punti cardine nell’impostazione del MasterKeen è ed è sempre stato il pensiero critico. Se è vero che abbiamo fatto delle scelte a priori e forniamo formazione su alcuni strumenti e metodi ritenendo che siano i migliori a disposizione (da cui la scelta di concentrarsi su Autodesk Revit, anziché fornire su tutti i software un’infarinatura che rimarrebbe per forza di cose incompleta), il principio è sempre quello di fornire agli studenti gli strumenti per giudicare e decidere se ciò che stanno apprendendo sarà applicabile al contesto in cui si troveranno ad operare.

Questo discorso diventa particolarmente rilevante quando si parla di Computational e Generative Design, perché è molto facile lasciarsi appassionare dai lati più seducenti dell’argomento e perdere di vista la realtà in cui operiamo. Anche in questa giornata quindi, prima di affrontare un’innovazione ci siamo domandati seperché.

L’abbiamo fatto, grazie a Luca Poleggi, chiedendo aiuto alla storia della tecnologia da una parte e alla storia dell’economia da quell’altra. Seguendo il suo pensiero, ogni innovazione deve partire da una crisi, da un bisogno, da una necessità, e svilupparsi verso un obiettivo tramite un’idea, una strategia ben precisa che, messa in atto, porta ad un risultato. La bellezza del mondo in cui viviamo è che ogni risultato genererà una nuova necessità, un nuovo bisogno, cui una nuova idea potrà portare beneficio.

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Quali sono quindi le necessità che ci portano ad implementare il computational o il generative design nelle nostre pratiche quotidiane?

Provano a rispondere a questa domanda Evan Mazzucchi, Ganluigi Pinto e Sebastiano Benenati, ciascuno con il proprio contributo. In particolare, attraverso il pensiero di Celestino Soddu abbiamo visto rapidamente crearsi una stretta connessione tra l’algoritmic-aided design e la morfogenesi ispirata a processi naturali per costituzione troppo complessi da replicare con strumenti tradizionali.

“Il design generativo è un processo morfogenetico
che utilizza algoritmi strutturati come i sistemi non-lineari
per risultati unici e irripetibili
e riproducibili all’infinito da un’idea-codice,
come in natura.”
Celestino Soddu – architetto e professore esperto in Generative Design al Politecnico di Milano

Da qui al broccolo, a quanto pare, il passo è brevissimo. La passione di Gianluigi Pinto, in particolare, ci ha accompagnato in un viaggio fatto di frattali, sezioni auree e tassellature di Voronoi.

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Sebastiano Benenati ha spinto il discorso ancora più in là. Perché limitarsi a mimare le forme di natura, quando la natura stessa può essere generatrice di architettura? Lo ringrazio in particolare per lo spunto relativo al Silk Pavillion di Neri Oxman, che avevo completamente dimenticato e che ho recentemente ripreso nella lezione ai ragazzi del FMIA2019 (alla ragazza che lunedì scorso guardava la mia slide con dipinto in viso un chiaro amore per i vermi, sconsiglio vivamente di fare click su “Play”).

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Roberto Angelini si è meravigliosamente inserito in questo discorso presentandoci il problema da quello che potrebbe sembrare un altro punto di vista: quello di Bjarke Ingels.

L’opera di BIG ci è di ispirazione, da quel punto di vista, in particolare per l’uso che il suo studio sembra fare dei modelli fisici: se da una parte il Computational Design è l’uso di algoritmi in supporto alla progettazione, infatti, la principale rivoluzione del BIM non risiede tanto in questo quanto nella centralità di un “modello unico” per i processi di progettazione, analisi e pianificazione. In questo senso, ci troviamo maggiormente imparentati con Pier Luigi Nervi di quanto non possiamo pensare di esserlo con Luigi Moretti.

«Le ricerche sui modelli […] hanno un’importanza didattica e scientifica che non sarà mai sufficientemente valutata. Nessuna dimostrazione teorica può infatti chiarire il funzionamento statico di una struttura quanto seguire i risultati di una ricerca sperimentale, e d’altra parte nessun procedimento può essere altrettanto efficace per controllare l’esattezza delle nostre deduzioni teoriche»
P.L. Nervi

Il suo lavoro, insieme a quello portato avanti sui modelli fisici da Sergio Musmeci, Frei Otto, Heinz Isler e Antonì Gaudì prima di loro, dovrebbe ricordarci che il punto principale del nostro ragionamento non è e non dovrebbe essere la ricerca computazionale di una forma estrosa, o di un Blob come lo definirebbero critici ben più importanti di me, ma il design di un processo in grado di centralizzare le decisioni sul supporto di un singolo modello, sia esso fisico o digitale.

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In questo scenario, saremmo ovviamente sprovveduti se non ci interrogassimo circa le implicazioni di questo cambiamento: ci hanno aiutato Dario Carannante e in particolare Simone Algeri, che con il suo “Estinzione o Evoluzione” ci ha riportato alcuni ragionamenti fatti da Yuval Noah Harari nel suo splendido Homo Deus e ha provato a farci ragionare circa il nostro futuro (o mancanza del suddetto) in un ipotetico mondo che veda un incremento della progettazione per algoritmi.

Come reagire al presente, quindi? Letteralmente il titolo della riflessione di Pierpaolo Canini, ancora visibilmente commosso dalla visione di La Casa dei Piccoli Cubi (non l’avete ancora visto? Cosa state aspettando? Lo trovate qui).

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Dopo averci mostrato una splendida carrellata di progetti, recenti e meno recenti…

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…Pierpaolo ha riflettuto sul concetto di algoritmo, sull’impatto che strumenti di calcolo più potenti avranno nella nostra professione, sull’adozione delle tecnologie e sulle loro conseguenze, sulla necessità di creare “un’unione più perfetta”.

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Infine Raffaele, chiudendo la mattinata, ha ricapitolato alcuni dei concetti fondamentali toccati dai compagni: nuovamente riprendendo il pensiero di Mario Carpo, si è parlato dell’eterna questione ovvero dell’impatto degli algoritmi sulla produzione digitale. Dopo averci mostrato le Voxel Geometries di Michael Hansmeyer e il Digital Grotto citati da Carpo, ha chiuso con la suggestiva opera di Polina Alexeeva.


Nel pomeriggio, siamo invece tornati con i piedi per terra e abbiamo provato a riprendere sia i ragionamenti fatti su automazione e pensiero algoritmico durante la terza giornata sia il concetto di centralità del modello in relazione al modello fisico. Abbiamo tentato una sfida. Ma su questo mi trovo costretta a lasciarvi con la curiosità di sapere di che cosa si trattava, perché la nostra terza classe deve ancora misurarsi con l’argomento.

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