Jan Dix #2 – La stanza del giaguaro
Del primo numero ho parlato, e per nulla bene, qui. Ma non è da me non concedere una chance anche secondo numero: si sa, alcune delle cose più irritanti del primo numero avrebbero potuto essere espedien per vendere… Beh, dopo questa non credo che ci sarà una terza occasione. Jan Dix #2, bimestrale La stanza […]
Del primo numero ho parlato, e per nulla bene, qui. Ma non è da me non concedere una chance anche secondo numero: si sa, alcune delle cose più irritanti del primo numero avrebbero potuto essere espedien per vendere… Beh, dopo questa non credo che ci sarà una terza occasione.
Jan Dix #2, bimestrale
La stanza del giaguaro
Soggetto e sceneggiatura: Carlo Ambrosini
Disegni: Giulio Camagni
Copertina: Carlo Ambrosini
«A sconvolgere le già burrascose acque della relazione tra Jan e Annika, entra in scena la bella Karin. La donna coinvolge Dix in un complesso enigma che affonda le radici in un fatto, accaduto decenni prima, che sconfina nella magia. In piena regione amazzonica, infatti, lo zio di Karin era stato resuscitato dall’oscura forza del dio giaguaro. Dopo tanti anni, l’inquietante divinità è però tornata a riprendersi la vita dell’uomo, seminando la morte nelle strade di Amsterdam.»
Due filoni artistici, o presunti tali, si intrecciano in questo numero ed entrambi hanno a che fare, o vorrebbero avere a che fare, con il tema del simbolo legato alle tradizioni ancestrali. Tema complesso con cui misurarsi in un secondo numero che segue un primo decisamente sottotono. Nel primo, Annika sta organizzando un’esposizione sull’arte delle cosiddette Prime Nazioni (termine che nel fumetto non si usa mai e cui si preferisce un decisamente più loquace "Indiani canadesi della costa nord occidentale"). La seconda riguarda la bionda Karin Van Esten, che si reca da Dix alla ricerca dei suoi servigi professionali.
Il primo filone non serve assolutamente a niente. Ma sapete, proprio, a niente? Solo ad allontanare Annika per consentire a Dix di portarsi a letto Karin, cosa che comuque fa anche in sua presenza. Inutile. Del tutto.
ll secondo filone a sua volta si compone di una vena giallistica ed una metafisica. Quella metafisica non serve a niente. Ma sapete, proprio, assolutamente a niente? Il pretesto dell’arte, setting debole anche di questo numero, non serve ad altro che a creare l’ennesimo emule di Dylan Dog, ma un Dylan Dog in cui la vena metafisica non si lega alla soluzione del caso né viene negata, non viene trattata né come se fosse parte della vita del protagonista né come se ne fosse una cosa del tutto estranea. Dix parla con leggerezza a perfetti sconosciuti delle sue visioni, come se fossero tasselli dell’indagine o parti della vita reale, ma del resto parla con leggerezza di qualunque cosa, lasciandosi andare ad un’information dumping abbastanza vergognosa. Comprendo benissimo che l’intenzione è quella di trattare il soprannaturale come se fosse reale, lasciando ben pochi dubbi che si tratti di allucinazioni, ma senza occuparsi delle conseguenze sul mondo reale: Dix non è né un uomo razionale che si trova alle prese con le visioni né, o almeno non sembra, un uomo avvezzo a ricevere segnali soprannaturali. Non si comprende davvero come mai ci si sia voluti impegolare in questo filone che chiaramente non si rlesce a gestire, tantopiù che alla fine risulta completamente inutile ai fini dell’intreccio giallistico. Intreccio giallistico che in questo numero regge un po’ meglio che nel primo (e non è che ci volesse molto), ma che alla fine risulta abbastanza scontata: rivela quasi a metà l’indizio decisivo e non fa più nulla, senza riuscire né a creare tensione drammatica né tantomeno a mantenere la suspance. Insomma, per essere un giallo che parla di arte, parla di arte a caso e il giallo non è nemmeno gran che.
In ultimo, una piccola risposta alle note di apertura che in parte rispondono a critiche come le mie. Scrive Carlo Ambrosini: «Piuttosto pertinenti, invece, ci sono parse le osservazioni di chi, nel primo numero "Morte di un pittore", trovandosi di fronte ad una storia riguardante Vermeer si è rammaricato di non veder meglio illustrato il valore e il contenuto della sua opera e della sua personalità artistica. […] le storie di Dix si occupano d’arte ma non sono uno strumento didattico e chi fosse interessato alla grandezza del pittore, che noi davamo per sottintesa, leggendoci, può approfondirne per conto suo la conoscenza».
Ora, per quanto mi riguarda non era quello il punto. Dio ce ne scampi dall’avere più didascalicità nel fumetto, il punto non era dare per scontate le specificità artistiche di Vermeer o il suo percorso artistico, ma dare l’impressione di non conoscerle affatto e di non essersene curati. Come dice lo stesso Ambrosini, il primo numero aveva a che fare con il tema della creazione. Disgraziatamente, preso dal macro tema, la scelta del tema specifico appariva gratuita almeno quanto appare quella di nativi canadesi e aborigeni sudamericani in questo numero. Avrebbero potuto essere tranquillamente i ragionieri di Busto Arsizio e la tribù dei Vakaputanga (nota tribù del centro Katanga) e nessuno si sarebbe accorto della differenza. E la gratuità della scelta, purtroppo, è qualcosa che pesa su questo fumetto come un macigno.
per la prima volta dopo diversi anni grazie a jan dix abbandonerò una serie bonelli dopo averne presi solo un paio di numeri. Illustri precedenti: Napoleone, Jonathan Steele, Brendon (quest’ultimo poi recuperato).
Un merito va riconosciuto però a Jan Dix. Fa sembrare Demian un capolavoro.
Vero. E trovarsi a rivalutare Demian è veramente sintomatico.
Eppure a me piace.
A differenza dell’altra volta, sono totalmente d’accordo sulle critiche, ma più che sulla povera scelta degli indiani canadesi, io avrei preferito veder svolto per bene il tema del simbolo, che alla fine della fiera proprio svolto non è. Insomma, un Napoleone con un’idea da Napoleone ma scandito male e soprattutto abbozzato nella sua filosofia marcata che dovrebbe contraddistinguerlo dai concorrenti.
Una lettura piacevole. Credo che me lo prenderò tutto, nonostante i difetti.
Sono d’accordo (tranne che sul “eppure a me piace”, naturalmente). Se il mio pusher smetterà di comprarlo – e il mio pusher è quello del primo commento – non potrò più dissertarne con te. Ma conoscendolo non smette mica. Ancora legge Magico Vento e Zagor, rendiamoci conto. :-p
Tornando al tema del simbolo, dire che è abbozzato è dire poco. Speriamo nel terzo numero? Mah…