Jan Dix
di Carlo Ambrosini Sergio Bonelli Editore Come dicevo ieri nella recensione andata perduta <sigh>, mi sono avvicinata a questo fumetto con non poche perplessità. E come non averne nei confronti di un personaggio che si chiama come il batterista dei BAP? Scherzi a parte, non ho mai letto il controverso Napoleone, miniserie Bonelli (mini […]
Come dicevo ieri nella recensione andata perduta <sigh>, mi sono avvicinata a questo fumetto con non poche perplessità. E come non averne nei confronti di un personaggio che si chiama come il batterista dei BAP? Scherzi a parte, non ho mai letto il controverso Napoleone, miniserie Bonelli (mini per modo di dire: cinquantaquattro numeri), di cui questo Jan Dix si pone come ideale continuazione, quindi non posso fare il paragone ma non avevo nemmeno alcuni timori cui mi hanno accennato alcuni scarsi estimatori della precedente fatica di Ambrosini. I miei timori erano di altra natura, e ve li vado ad esplicare. Innanzitutto un timore di fondo, perché sono per natura diffidente nei confronti dei Bonelli, spesso così omologati nell’approccio grafico, così didascalici, così schiacciati dall’ingombrante ombra di Dylan Dog (che tra l’altro nemmeno mi piace).
A questo timore, che potete tranquillamente accusare di essere pregiudizievole più che pregiudiziale, e nemmeno troppo fondato, si affiancava qualcosa di più specifico, che riguardava la scelta dell’arte come fucro del fumetto e di Vermeer in particolare come argomento del primo numero. Molti di voi ben sapranno che di recente la contaminazione tra l’arte – e la pittura in particolare – e varie forme narrative sta conoscendo grande fortuna. In Italia oserei dire che è iniziato tutto piuttosto in sordina, con la pubblicazione dei romanzi della brava Tracy Chevalier seguita dall’altrettanto brava Susan Vreeland. Queste due autrici hanno fatto di tale contaminazione il loro cavallo di battaglia, dedicandosi alle figure femminili dell’arte (Artemisia Gentileschi su tutte, in The Passion of Artemisia della Vreeland, ma anche Emily Carr nel controverso The Forest Lover sempre della Vreeland), al medioevo (Lady and the Unicorn della Chevalier), ai romantici (la Chevalier con un Burning Bright che parla della rivoluzione, della giovinezza e di William Blake), agli impressionisti (uno splendido quadro generale in Life Studies della Vreeland, Renoir sempre per la Vreeland, con Luncheon of the Boating Party, e l’età vittoriana con Waterhouse in Falling Angels della Chevalier), al liberty (sempre la Vreeland con In Tiffany’s shadow, previsto per il 2010) e, ultimo ma primo, proprio a Vermeer (la Vreeland con il suo Girl in Hyacinth Blue e la Chevalier con Virgin Blue e con il suo celebre e incantevole Girl with a Pearl Earring). Ed è proprio questo il punto: non solo il genere è inflazionato, ma lo è anche il pittore. Ci sono periodi in cui sembra esista solo Leonardo da Vinci (magari sull’onda di fenomeni neanche lontanamente paragonabili ai libri della Chevalier e della Vreeland), periodi in cui Caravaggio tira più di un carro di buoi. In questo periodo, almeno in Italia, Vermeer sta conoscendo un meritatissimo ritorno alla fama, nonostante non sia tra i pittori che più volentieri ci vengono insegnati nella nostra lacunosissima scuola. In fin dei conti anche da noi, per citare Kevin Smith, «se non ci fanno un film non vale la pena saperlo». E qui il film ce l’hanno fatto, eccome, anche se forse non ha avuto il successo che avrebbe meritato. Proprio su Ragazza dall’orecchino di perla. Da brava snob che sono, quindi, non posso fare a meno di storcere il naso di fronte non tanto alla scelta di un quadro famoso per la storia di lancio e di conseguenza per la copertina – mi rendo anche conto delle necessità di marketing – quanto di quel quadro. Più pacchiano forse ci sarebbe stato scegliere la Gioconda, ma Vermeer non mi pare altro che una scelta che tenta invano di essere contemporaneamente ricercata e di massa. E i problemi nel tirare in ballo Vermeer non si fermano qui, ma procediamo con ordine.
Queste erano le mie perplessità iniziali, oltre ad un’altra naturale diffidenza perché non dico che l’arte sia il mio mestiere ma… sì, è il mio mestiere. Quindi bisogna stare più che attenti a trattarla in un’opera narrativa: posso adorare il prodotto, se fatto bene, ma se mi sembra rappezzato divento ancora più cattiva del solito.
E che cos’è questo Jan Dix? Cerchiamo di dissezionarlo un po’.
Innanzitutto, i personaggi non mi hanno lasciato molto. E quel poco non era positivo. Il pretesto dell’incubo iniziale per introdurre il personaggio è piuttosto deboluccio e sono quasi annegata sotto l’information dumping tra pagina nove e pagina dieci, le cui informazioni tra l’altro sono di utilità praticamente nulla ai fini della trama e ai fini dell’approfondimento del personaggio lasciano il tempo che trovano. Stando a quanto mi dicono di Napoleone, Ambrosini ha una fissazione per la psicanalisi, ma da un autore con questa passione mi aspetterei qualcosa di meglio. Invece sembra che non voglia osare, che abbia timore di non essere capito dal notoriamente poco brillante lettore, riducendosi ad incursioni da Bignami psicanalitico come il peggiore Julia.
E che dire poi dei personaggi secondari? Annika, la sua compagna, è il fastidiosissimo cliché della donna in carriera innamorata fino ad un certo punto e comunque incapace di accettare il suo amato per quello che è. L’unico personaggio vivido è quello del giudice, delineato in modo vivace e non troppo didascalico, ma fin’ora sembra destinato a rimanere un personaggio di contorno mentre il finale pare promettere duraturo traballare nella relazione tra Jan e Annika. Ne farei volentieri a meno.
Purtroppo la psicanalisi non è la sola cosa spiccia di questo fumetto e, se poteva anche essere giustificabile un’approssimazione in questo senso per non appesantirlo e non trasformarlo in un secondo Napoleone, una certa approssimazione in quello che dovrebbe essere il nocciolo centrale del fumetto non è ugualmente giustificabile. Come accennavo infatti, la scelta di Vermeer non è discutibile solo per via dell’alta commerciabilità dell’autore. Lascia perplessi a prescindere e non sembra motivata da nulla di particolare nella vita, nella produzione e nel modus operandi dell’artista. Lo spunto del pittore che realizza copie nel senso aristotelico del termine era buono, ma proprio qui sta il punto: perché Roszo avrebbe dovuto sviluppare un sistema di invecchiamento dei dipinti se il suo obiettivo non era realizzare copie vendibili? A questo punto le possibilità credo fossero due.
Numero uno: si voleva calcare la mano sul lato più mistico-soprannaturale, e Roszo era in effetti concepito per essere la reincarnazione di Vermeer, una reincarnazione nel senso più tradizionale e meno occidentale del termine ovvero un individuo che reca su di sé il segno della sua vita passata ma è anche autonomo e unico per se e cerca un equilibrio tra questi due aspetti. In questo caso, avrebbe un senso che Roszo iniziasse a dipingere con le tecniche del maestro e poi invecchiasse le opere per verificare. E tuttavia questa pista non è neppure abbozzata, il che ci porta dritti dritti verso la seconda ipotesi.
Numero due: Roszo è “semplicemente” un uomo che, come si dice anche nel fumetto, «è riuscito a penetrare la mente del maestro così a fondo da perdere la propria». Nel qual caso, avrebbe molto molto molto senso il procedimento inverso ovvero che Roszo fosse partito a dipingere le opere di Vermeer così come appaiono ora e poi avesse compreso come dipingere nel modo in cui dovevano apparire al maestro. Il fumetto si comporta come se il mistero fosse l’invecchiamento, mentre il vero mistero agli occhi di un contemporaneo è come i dipinti dovevano apparire all’epoca del maestro.
Ora, mi rendo perfettamente conto che ai fini dell’intreccio era necessario che il dipinto sembrasse antico. E personalmente non so cosa avrei potuto inventarmi per dare coerenza al tutto, ma questa non è la sola questione che fila poco nel fumetto per presunte cause di forza maggiore. Vermeer stesso, perché Vermeer? Al suo posto avrebbe potuto esserci qualunque altro pittore e la storia avrebbe funzionato lo stesso, non sono state sfruttate specificità biografiche, di tecnica, di produzione. Anzi, la questione della morte prematura e del desiderio di portare a compimento le opere rimaste incompiute non è che fili particolarmente: Vermeer morì sì a quaranta e puffo anni, ma non è tra gli autori che si ricordano per la loro morte prematura.
La chiusura dell’intreccio stessa, poi, se vogliamo, fa abbastanza acqua: il barone Stemaria ha coperto le tracce della faccenda per motivi… filosofici? Siamo seri, l’intero discorso di chiusura è il delirio di un pazzo, cosa che potrebbe anche essere coerente con il personaggio se non fosse che Dix non batte ciglio.
In ogni caso, il fumetto non è malissimo, merita una seconda chance sperando che si approfondiscano un po’ i discorsi e le scelte commerciali si facciano sentire di meno.
Il prossimo numero sembra rivolgersi alla cosiddetta “arte primitiva”, si chiamerà La stanza del giaguaro e i disegni saranno di Giulio Camagni (che francamente apprezzo molto di più come pittore che come fumettista). Tra i futuri disegnatori, è stato fatto anche il nome di Paolo Bacileri. Chiunque egli sia.
ne avevo letto sull’ultimo numero di XL ma qui da te è tutta un’altra storia!
sei insostituibile!
proverò anche questo.
Ciao Shelidon,
nel mio blog c’ qualcosa che ti aspetta :P
http://casteloricalco.splinder.com/post/17331469
X-Bye
Allora siamo d’accordo! Anche a me ha lasciato un po’ di amaro in bocca, soprattutto con i fastidiosissimi spiegoni finali di casa Bonelli! Ma non sarebbe meglio affidarsi all’intelligenza dei lettori piuttosto che spiattellargli tutto in faccia come se fossero i peggiori rincitrulliti? Boh…Cmq anche io daro’ una seconda chance a Dix come mi ero ripromesso di darla anche a Cornelio!
@ Damiani: many thanks…
@ Heraclitus: fammi sapere!
@ ImpBianco: aaahhh… le catene no… maledetto…
@ Shepp: verissimo, le spiegazioni Bonelli mi ammazzano sempre, tantopiù che questa volta si capiva davvero tutto perfettamente senza bisogno di tutti i dettagli successivi. Ridondante, inutile e irritante. Vedremo come sarà il prossimo numero.
Rimango della mia idea. Meglio Dix che Cornelio.
Vero, ha molti difettini che un numero 1 secondo me non dovrebbe avere, ma quel suo voler rimanere in bilico fra realtà e soprannaturale mi ha affascinato.
Purtroppo non l’ho trovato in equilibrio tra realtà e soprannaturale, tutt’altro: l’ho trovato in un equilibrio piuttosto precario più che altro dettato dalle idee poco chiare. Ma magari aggiorneremo il dibattito quando avremo visto il secondo volume.
Stavolta commento solo il post, che è di una clase senza eguali.
Alla faccia di chi sostiene che “chi sa fare fà, chi non sa critica” (a Rrobe, passa di qua ogni tanto).
La Critica è/dovrebbe essere questa. Un’arte a sua volta in sintesi.
Complimenti davvero, shel
il(…)elettrico
Così mi fate arrossire, prode (…)
Già, attendiamo.
Ultimamente la vediamo al contrario su tutto, eh? :-)
Non saprei: ti piace World War Hulk?
No.
Come speravo. Allora non la vediamo al contrario proprio su tutto. ;-)