Riguardo a Joe R. Lansdale

Interessante articoletto dal Manifesto del 4 maggio, che parla di Mucho Mojo. Chissà lui quanti zombie vede… (e questa la capiscono davvero in pochi) Da Joe Lansdale un’apocalisse horror – Attilio Lolini Ci sono scrittori americani, come Joe R. Lansdale, capaci di cimentarsi in ogni genere di scrittura «popolare» – western, horror, pulp o fantascienza […]

Interessante articoletto dal Manifesto del 4 maggio, che parla di Mucho Mojo. Chissà lui quanti zombie vede… (e questa la capiscono davvero in pochi)

Da Joe Lansdale un’apocalisse horror – Attilio Lolini
Ci sono scrittori americani, come Joe R. Lansdale, capaci di cimentarsi in ogni genere di scrittura «popolare» – western, horror, pulp o fantascienza – con una naturalezza da noi rara, riuscendo quasi sempre a conquistare lettori ormai stanchi dei soliti romanzi d’amore o di thriller un tanto al chilo. Il libro forse più riuscito di Lansdale, Mucho Mojo, uscito di recente per Einaudi Stile Libero, potrebbe essere catalogato tra le numerose varianti delle narrazioni contraddistinte da un forte impegno sociale, a loro modo realiste. Con la trilogia del Drive-in, e specie con il romanzo conclusivo, La gita per turisti (Einaudi, pp. 236, euro 11,80), questo scrittore imprevedibile rovescia le carte ispirandosi, semmai, a Swift, a Stevenson e al meraviglioso Robinson Crusoe di Defoe. Ma va detto subito che Lansdale non è ovviamente autore di tale classe; la sua è la pagina di un guitto e la sua lingua è fitta di espressioni al limite della pornografia o, peggio, della goliardia. Testo certo non facile per il traduttore, Alfredo Colitto, che con ogni probabilità ha arginato un diluvio di espressioni gergali dove la fanno da protagonisti i così detti organi sessuali degli umani e degli incredibili mostri che popolano il racconto. Il nostro mondo, già non troppo rassicurante, è andato a farsi benedire e ora i superstiti, divenuti cannibali, stanno all’interno di un Drive-in, protetti da schermi che proiettano continuamente film di terza categoria. Cosa ci sia al di là di queste proiezioni non è chiaro: creature bizzarre come dinosauri infoiati; uccelli simili a elicotteri; una rappresentazione del pianeta terra, dove i nostri orrori – le guerre, la fame, la distruzione dell’ambiente – assumono la forma di ridicole fantasie infantili. Letto in questa chiave il romanzo è assai meno gratuito e divertente di come vorrebbe apparire e le assurdità di Lansdale sono assai prossime alle nostre attuali «esperienze». L’inondazione che travolge l’«arca» degli strambi personaggi ha dimensioni bibliche, un meraviglioso pesce-gatto in grado di inghiottire una portaerei è la trappola dove finiscono coloro che procedono spinti da una sovravvivenza insensata (ma sotto c’è un richiamo alla balena di Pinocchio, non Collodi ma Disney). Sebbene affrontino situazioni impossibili, i personaggi di Lansdale serbano i caratteri dell’americano medio, ci sono «repubblicani» e «democratici» accomunati dallo stesso infantilismo. Il futuro descritto dallo scrittore è il risultato di un’apocalisse barocca in piena regola, un teatro operistico delle meraviglie, dove le scene vengono via via montate per stupire gli spettatori. Diverso il discorso sul ritorno dell’uomo (ma potrebbe trattarsi di un robot) al cannibalismo dove la vena nera di Lansdale raggiunge effetti non propriamente comici. È la fame, o meglio, il possesso, che ancora tormenta questi derelitti, mangiare e fottere, come diceva Céline, le sole cose essenziali. Ma pare ci sia anche un altrove che verrà intravisto, tralicci metallici che portano in un cielo di cartone, con le stelle appiccicate e la luna (rossa) che va su e giù. Appariranno anche gli dei, zombi dispettosi e gelosi del loro mondo in miniatura. Il libro è divertente anche se l’immaginazione è «troppa», con il rischio, qua e là, di ripetizione e noia.

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