Capitan America – Fallen Son #1
Per la gioia dei grandi e dei piccini, torniamo a parlare di fumetti e torniamo a farlo con il primo di tre (cinque in America) volumi speciali dedicati alle reazioni alla morte di Steve Rogers. Ora, come di consueto, qualche piccola nota sull’edizione italiana: in America i volumi sono cinque, uno per ogni stadio del […]
Per la gioia dei grandi e dei piccini, torniamo a parlare di fumetti e torniamo a farlo con il primo di tre (cinque in America) volumi speciali dedicati alle reazioni alla morte di Steve Rogers. Ora, come di consueto, qualche piccola nota sull’edizione italiana: in America i volumi sono cinque, uno per ogni stadio del dolore: Wolverine – negazione; Vendicatori – rabbia; nuovi vendicatori – contrattazione; l’uomo ragno – depressione; Iron Man – accettazione. Cinque stadi, cinque numeri: appare logico. In Italia, i numeri saranno tre: negazione e rabbia nel primo, contrattazone e depressione nel secondo, accettazione nel terzo. Indipendentemente dal fatto che non esiste nessun motivo logico per raggrupparli in questo modo (a parte forse “volevamo farli con la costina e più piccoli non ci stava la scritta sul dorso”), mi viene da domandarmi con che cosa riempiranno la seconda metà del terzo volume. In ogni caso, qualunque fuffa editoriale ci mettano, è evidente – basta un po’ di matematica – che sono riusciti a farne sei volumi dai cinque che erano. Non importa se si è stravolto completamente il senso del progetto editoriale iniziale.
E giacché siamo in vena, due paroline anche sul titolo. In originale: “Fallen Son – The death of Captain America”. In italiano: “Capitan America – Morte di un eroe”. Ora, come tutti ben sappiamo “fallen son” è un’espressione specifica utilizzata per i caduti di guerra, esprime un senso di fatalità, di ingiustizia, di prematurità della perdita. Io mi chiedo e mi domando – e vi domando – “Morte di un eroe” esprime gli stessi concetti? Ha la stessa carica emotiva? Bah…
Ma passiamo alla storia, che ce n’è a sufficienza anche per quella. L’autore di tutta la miniserie è Jeph Loeb, ormai da anni una garanzia di illudervi con del potenziale e poi buttare tutto in vacca (alle volte saltando addirittura la prima parte, tendenza affermatasi di recente e definitivamente accertata su Wolverine): Fallen Son non fa eccezione. Quindi, se anche voi pensate – come me – che sia ottima l’idea di cinque numeri con i cinque stadi del dolore, lasciate che Loeb vi faccia cambiare idea.
Cap. 1: Wolverine – Il rifiuto (Wolverine – Denial da Fallen Son #1 del giugno 2007). L’idea è buona, com’è buona la scelta dello stile “graffiato” di Leinil Yu: Capitan America è morto? Ma non diciamo cazzate. Come si è visto di recente in X-Factor con la morte di Banshee, tuttavia, un conto è il rifiuto del nostro mondo primario e un conto è gestire un rifiuto in un mondo in cui la gente comunemente torna dalla tomba come dal tabaccaio sotto casa. Mi spiego. Gran parte della carica emotiva del descrivere un meccanismo di rifiuto è lo straniamento del lettore, la consapevolezza che il protagonista si sta illudendo. Ma come dar torto a Wolverine, in questo caso? Questo doppio scatto, necessario per rendere creibile il tutto, non è affatto gestito dalla sceneggiatura, e il meccanismo realistico applicato al contesto fantascientifico semplicemente non funziona. Il confronto con la salma si riduce ad una riduttiva seppur bella scena del cadavere di Steve nella penombra, in uniforme da ufficiale, la presenza di Devil è a dir poco pretestuosa, l dialogo con Crossbones è insipido e inutile, l’accettazione di Logan è banalizzata (ok, ho visto, ci credo), il dialogo con Stark è una pallida eco della doppia storia di Bendis. Eppure la storia, con fatica, si salva. Forse a causa del confronto con la storia successiva.
Cap 2: Vendicatori – La rabbia (Avengers – Anger, da Fallen Son #2 del giugno 2007). La storia incomincia dov’è finita la precedente, con la Cosa che arriva al Sanctum Sanctorum del dottor Strange mentre il mago è ancora in proiezione astrale sull’elivelivolo S.H.I.E.L.D. per assistere Wolverine nella sua incursione. Non so se sia una costante di tutte le storie, ma anche questo meccanismo è buono: mostrare quasi in contemporanea le varie fasi, che normalmente sarebbero sequenziali, consente un taglio psicologico interessante sui supereroi, mostrando le rispettive psicologie e, in un certo senso, i vari livelli di maturità da una parte e di cinismo da quell’altra. Contemporaneamente ad un Wolverine e ad un uomo ragno umani ed emotivi abbiamo quindi un Tony Stark razionale che già scende a patti, o – come in questa storia – un gruppo di supereroi dal nome aggressivo che cerca di sfogare il dolore facendo a botte.
Anche l’impianto della storia è buono: una partita a poker clandestina da un lato, con gli altrettanto clandestini Nuovi Vendicatori, mentre dall’altro i Vendicatori riuniti da Iron Man fronteggiano una minaccia di routine, pretestuosa. E tuttavia in questo caso la scelta del disegnatore (Ed McGuinness) non si rivela azzeccata: lo storytelling fa acqua da più parti, penalizzando non tanto la chiarezza della trama (trama che di fatto non esiste) quanto la simmetria della narrazione, la specularità delle due diverse “rabbie”. Le ultime tre pagine (le due doppie e l’ultima, intendo) sono un deprimente esempio di pochezza e mi viene da pensare come sarebbe stata questa storia nelle mani di uno sceneggiatore migliore e di un disegnatore più abile. Dal punto di vista meramente funzionale, i toni di blu e giallo che differenziano i due scenari sono il minimo necessario a seguire la storia. Dal punto di vista estetico, l’unica buona figura è il corpo dell’uomo ragno quando solleva Logan dalla sedia: per il resto, perisino la Vedova Nera è sgraziata (e ce ne vuole). La perdita di controllo di Miss Marvel, con successiva entrata in scena di Namor, è banalizzata almeno quanto la presa di coscienza di Logan nel numero precedente, così come le due scene finali – che nelle intenzioni credo dovessero esprimere disperata mestizia, simulazione di normalità e così via – non lasciano l’amaro che vorrebbero.
Un’occasione sprecata.
La prima storia è bella,la seconda meno a causa dei disegni di McGuinness…comunque anche nel secondo volume la prima storia è meglio della seconda…ah nel terzo volume ci sarà una vecchia storia di Stan Lee e di Jack Kirby sulla prima morte di Capitan America :P
X-Bye
Idem. Prima molto meglio della seconda.
Ah ecco, ero indecisa tra la fuffa editoriale e la ristampachemifaimpressioneperchéidisegnisonoorrendi. Quasi quasi preferivo la prima…
Grazie dell’informazione *__^
la prima morte di capitan a merica è considerata un capolavoro .purtroppo non ricordo come si scriva il nome dell’ autore
Sarà, ma più leggo le tue recensioni più mi convinco di aver fatto bene a smettere di leggere i Marvel anni fa…
@ ragno62: ho un’allergia per le storie vecchie, lo confesso.
@ lupo: eh, mi sa che hai ragione…
sorellina mutante qui urgono proposte programmatiche per fare decollare il nostro programma :-))
Matta
Diletta sorellina, mi sto occupando della linea grafica, come vedi. ;-)
ottima la tirata versus loeb;-)
sarò poco post-moderno e più “pane al pane” come dire, ma non ci provo troppo gusto in fondo nel dire c’avevo visto giusto. ogni tanto leggere una buona storia con prologo-sviluppo-finale belli sostanziosi appagherebbe di più di un ego soddisfatto.
A presto shel
ilcavalierelettrico
Su Wolverine Loeb è… è… inqualificabile.
a me sono piaciuti tutti e tre i volumi
Condoglianze.