NBS National BIM Report 2016
L’NBS National BIM Report di quest’anno arriva in un momento storico, per la Gran Bretagna: da poco superata la celebre data del 4 aprile, oltre la quale qualunque appalto pubblico deve essere realizzato in BIM collaborativo, il cosiddetto level 2, ci si guarda indietro e si guarda avanti, facendo il punto sullo stato dell’industria nazionale e sulle prospettive della […]
L’NBS National BIM Report di quest’anno arriva in un momento storico, per la Gran Bretagna: da poco superata la celebre data del 4 aprile, oltre la quale qualunque appalto pubblico deve essere realizzato in BIM collaborativo, il cosiddetto level 2, ci si guarda indietro e si guarda avanti, facendo il punto sullo stato dell’industria nazionale e sulle prospettive della professione. E si decide di farlo innanzitutto con una serie di contributi teorici preliminari tra cui è bene citare, almeno, quelli di Anne Kemp e Mark Bew. E se la prima sembra già proiettata verso quel paradiso dell’Internet of Things che è l’Integrated Digitally-Enabled Environment (sì, un altro acronimo con cui giocare), il secondo ci parla di un futuro più prossimo, quello che si appoggia al nuovo framework e al nuovo sito di riferimento.
Hosted and developed by the British Standards Institution (BSI),
the site will continue to evolve from launch,
providing a common and clear point of reference for BIM documentation, standards and guidance
created in partnership with the BIM Task Group.
These documents will continue to be available
free of charge
in order to encourage all businesses
however large or small
to take part.
E non mi stancherò mai di sottolineare quanto l’esistenza (e la disponibilità) di questo framework sia stato determinante nello sviluppo del BIM in Gran Bretagna. Template, modelli, documenti e standard di riferimento accessibili e gratuiti sono qualcosa di cui in Italia abbiamo disperatamente e urgentemente bisogno.
Tuttavia, e senza voler nulla togliere a Mark Bew, ho trovato più interessante il contributo di Adam Matthews, presidente dell’European BIM Task Group, perché ci offre uno scenario più ampio su cui ragionare.
Europe is now host
to the greatest regional concentration
of government-led BIM programmes in the world.
Finland and Norway were first to set standards,
followed by procurement policies
from the UK, Netherlands and Italy.
A partire da un ragionamento sullo stato dell’arte in Europa, la riflessione che Matthews ci propone parte dal BIM ma si rivela molto più ampia e coinvolge innanzitutto la magnitudo che l’industria delle costruzioni detiene rispetto ad altre industrie, in termini di spese, di investimenti, di consumi delle risorse naturali e di inquinamento. Un’industria enorme e potenzialmente distruttiva, quindi, che per decenni ha vissuto della propria stessa inefficienza e che rischia di diventare non più sostenibile alla luce di piccole questioni quali l’aumento del debito pubblico e le crescenti spese legate al mantenimento di una popolazione la cui età media è in costante aumento. Come se questo non bastasse, l’industria delle costruzioni è tra i settori meno digitalizzati, seconda solo all’industria del petrolio. Un’industria il cui 30% dei costi viene sprecato in attività non produttive (almeno secondo il National Audit Office britannico).
E’ alla luce di questi e altri tragici valori che opera l’European BIM Task Group, il cui obiettivo è quello di sviluppare un handbook che descriva le pratiche comuni e i principi del “BIM all’Europea”. Un argomento sul quale ci sarebbe da aprire un capitolo di discussione a parte.
The handbook will describe common practices and principles for three areas:
– Procurement procedures for tendering and contracting;
– Technical considerations for the collection, processing and use of information;
– Skills and role development principles.
Una buona parte di questo National BIM Report è anche occupato dalla celebre Tavola Periodica del BIM, un elaborato grafico che grazie alla sua freschezza e immediatezza ha rapidamente fatto il giro della rete stimolando altri elaborati di simile fattura (ma, spesso, non di altrettanta accuratezza: si veda ad esempio il grafico spagnolo che traccia il livello di competenza per i ruoli della professione e, da BIM coordinator, il modo ancor m’offende).
La tavola si divide in nove gruppi:
– strategia;
– fondamenta;
– collaborazione;
– processo;
– persone;
– tecnologia;
– standard;
– strumenti;
– risorse.
Sottostà a questi gruppi un ulteriore gruppo costituito dalle fasi del Digital Plan of Work.
Bando alle ciance, arriviamo ai numeri
Il primo dato significativo, come si confà a qualunque survey serio, riguarda i partecipanti al sondaggio, e i numeri ci parlano di una grande predominanza di architetti e tecnici dell’architettura londinesi, seguiti da un 7% di BIM manager.
The number of BIM Managers who took part is notable.
Six years ago, when we first ran this survey, the role barely existed.
The representation is indicative of how embedded BIM has become.
Il dato che mi piacerebbe ricevere, ma non conto di poter mai riuscire a ottenere, è se si tratti di BIM manager che davvero ricoprono il ruolo, o semplicemente di BIM-something che essendo gli unici professionisti a lavorare in BIM assumono automaticamente il ruolo di manager.
Rispetto all’anno scorso, quel calo di consapevolezza che fece tanto parlare (a sproposito) risulta ribaltato: la percentuale di coloro che conoscono e praticano il BIM è tornata al 54%, mentre quella di coloro che lo conoscono e lo evitano cala di sei punti, pur non tornando esattamente ai minimi storici del 2013. Cala impercettibilmente anche la percentuale degli ignari. Il che fa sempre ben sperare. Certamente la campagna di comunicazione nazionale ha dato, nel 2011, i suoi migliori frutti.
Continua a permanere la sensazione che il BIM non sia sufficientemente standardizzato (65%), e la “tradizione orale” rimane la fonte preferita di informazioni rispetto alle pur ottime risorse ufficiali: il 71% preferisce rivolgersi ai propri colleghi e 57% ad altri professionisti del settore non all’interno della loro organizzazione (e non so se la situazione possa suonare familiare a certi compagni di birre BIM). Sono dati allineati a quelli dell’anno scorso. Grazie al cielo solo il 33% e il 25% dichiarano di rivolgersi volentieri a venditori e rivenditori di software CAD, una percentuale che spero di veder diminuire ulteriormente per il bene che porto alla Gran Bretagna.
Preferenze di software e core business
A proposito di CAD, Revit rimane in testa nella classifica di popolarità del software, seguito a ruota da ArchiCAD e Vectorworks. Grosse soddisfazioni da Allplan (ma anche SketchUp non scherza con il suo timido 1% di utilizzo).
I valori sono parzialmente giustificati dal core business degli intervistati e dalle loro attività predominanti: la produzione di disegni 2d (e auguri a farli con SketchUp) e la progettazione collaborativa (e auguri a farlo con Allplan). Molto più interessante tuttavia è la percentuale di coloro che usano il BIM rispetto alla tipologia di progettazione affrontata. Oltre a un dato ovvio circa l’utilizzo per progetti nel settore pubblico (e con un obbligo a livello nazionale non mi aspetto dati molto diversi), non mi ha stupito vedere la percentuale più bassa legata ad attività su restauro e conservazione: è il settore che fa ancora maggiormente fatica a comprendere il BIM, principalmente perché il BIM sta facendo pochissimo sforzo per comprendere quel settore. Un dibattito cui noi italiani potremmo e dovremmo portare un importante contributo.
E, rimanendo in argomento di contributi importanti, continua a farsi sentire con prepotenza la voce di tutti coloro che richiedono ai produttori di fornire ai progettisti degli oggetti BIM di qualità adeguata (argomento di cui recentemente si è parlato e si sta parlando anche in Italia). Al contrario dell’anno scorso, non è presente alcun dato relativo a dove gli intervistati si procurino i loro oggetti attualmente, ma scommetterei che l’approccio do-it-yourself sia ancora quello vincente.
Going Level 2: ma davvero?
Il dato più significativo in assoluto, almeno per quanto mi riguarda, rimane tuttavia il seguente.
Che il 30% degli intervistati si dichiari BIM ma abbia raggiunto al massimo il level 1 (ovvero non abbia mai lavorato in ambiente collaborativo nemmeno una volta nella vita) è abbastanza preoccupante. Ancora più preoccupante se lo si confronta con i dati degli anni precedenti. Se dal 2013 al 2014 si avvertiva una sensibile diminuzione di “non BIM”, quest’anno i valori sono dannatamente stazionari e parlano di una mancanza di crescita in maturità. Un’interpretazione possibile è che la Gran Bretagna fosse già al massimo della propria maturità possibile, il che ci porta verso uno scenario in cui l’industria è equamente ripartita tra BIM collaborativo e non BIM. Un’altra possibile interpretazione ci parla di una crescita più lenta del previsto, che unita all’abbassamento dell’asticella nella definizione di level 2 da parte dei britannici, non si può considerare troppo un successo per il nostro settore.
The industry is clear that the Government will see
through on its mandate,
but perhaps the construction industry
is not entirely ready for it.
Il dato va anche incrociato con le precedenti risposte circa l’attività principale svolta nell’ultimo anno: un mercato che ancora vede il 79% impegnato nella produzione di disegni 2d e solo il 16% ha consegnato un modello destinato alla manutenzione dell’edificio. Molto alta tuttavia la percentuale di utilizzo di IFC (molto probabilmente nella collaborazione interdisciplinare), mentre rimane bassa la popolarità del COBie e la cosa continua a non sorprendere. Mancano tuttavia ancora dati circa l’effettivo utilizzo di questi modelli durante la manutenzione, e quello scarso 2% di intervistati che appartiene al mondo dei developer e dei facility manager non è di certo in grado di avere un’incidenza significativa sulle risposte. Abbiamo bisogno di dati in questa direzione se speriamo di consolidare davvero il conseguimento del level 2 e, ammesso che sia davvero una buona idea, iniziare a muoverci verso il level 3.
In generale, in una data importante come questa, devo dichiararmi delusa dal report di quest’anno. Molte testimonianze e pochi dati, che si è scelto di non confrontare con quelli degli anni precedenti. Confidiamo nel prossimo anno per fornirci dati più organici. So, you’ll forgive a little bit of English whilst I close this summary. Dear NBS, this is what I would like to read in next years report.
1. more data regarding what’s intended by level 2, ’cause I often get the feeling that we don’t agree anymore on this: are we still talking about collaborative BIM carried out through different practice-segregated models or not? If not, what are we talking about?
2. more data regarding how is the industry moving towards or apart from owners and facility managers: we know that we don’t like COBie and we know that we don’t have sufficient legal framework to support our new way of working, but are we doing something to close the gap, and how are we doing it?
3. it’s always interesting to know that only 37% of people did use a BIM model from the very start to the very end of the project, but it’s worthless if we don’t know the span of their process (are they doing design, detailing or construction?) and it would be even more interesting to know where are other people picking up or dropping the BIM model.
So, here it was. Only three of them. Do you think you can make me happy? I promise I’ll be good, next year.
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