Lasciandovi una giornata con Baudelaire

. Slipping away by ~kiismann on deviantART. Oggi, per motivi connessi al lavoro, sarò dalle parti di Genova fino a sera e quindi assente da questi ameni lidi. Cosa vi lascio per intrattenervi in mia assenza? Dunque, vediamo… Innanzitutto una riflessione su Baudelaire che compare oggi su Liberazione e che spero piaccia al mio amico […]

Oggi, per motivi connessi al lavoro, sarò dalle parti di Genova fino a sera e quindi assente da questi ameni lidi. Cosa vi lascio per intrattenervi in mia assenza? Dunque, vediamo… Innanzitutto una riflessione su Baudelaire che compare oggi su Liberazione e che spero piaccia al mio amico Robert.

Baudelaire disse ai suoi censori: «L’arte non ha la vostra morale» – Antonio Prete
Centocinquant’anni, il 21 giugno 1857, uscivano I Fiori del male di Baudelaire , il libro, dolcissimo e atroce, che avrebbe portato il vento della poesia nel cuore della modernità. La prima edizione delle Fleurs du mal fu messa in vendita dagli editori Poulet-Malassis et De Broise. Subito, tra la fine di giugno e i primi di luglio, comparvero i primi attacchi su Le Figaro. Non mancavano, sulla stampa moralista, i confronti tra Les Fleurs du mal e Madame Bovary di Flaubert, libro processato, ma assolto, qualche mese prima. Negli articoli su Le Figaro e nell’atto ufficiale di denuncia quattro poesie dei Fiori del male furono accusate di oltraggio alla morale religiosa, e ben nove di attentato alla morale pubblica. Il sequestro degli esemplari del volume già messi in vendita fu il primo atto giudiziario cui sarebbe seguito presto il processo. Processo che fu celebrato il 20 agosto 1857 presso il Tribunal de la Seine. La requisitoria fu affidata al sostituto Ernest Pinard, lo stesso giudice che mesi prima aveva tenuto la requisitoria contro Madame Bovary. La difesa fu affidata da Baudelaire all’avvocato Gustave Chaix d’Est-Ange. La difesa dell’avvocato fu in effetti molto fragile, ma non particolarmente dura fu la requisitoria di Monsieur Pinard. Il quale, rivolto ai giudici, così concluse il suo discorso: «Siate indulgenti con Baudelaire, che è persona di natura inquieta e priva di equilibrio. Siatelo anche con gli stampatori, che si mettono al coperto dietro l’autore. Ma, condannando almeno alcune poesie del libro, date un avvertimento resosi necessario». L’intera requisitoria esponeva la sequenza dei versi "offensivi", aggiungendo alle sei poesie che sarebbero state di fatto espunte altri passaggi da altre poesie. Diceva il giudice, a un certo punto : «Crediamo forse che certi fiori dal profumo vertiginoso siano buoni da respirare? Il veleno che emanano non allontana da essi: sale alle testa, ubriaca i nervi, dà turbamento e vertigine, e può anche uccidere». Singolare affermazione. Inconsapevolmente il giudice accoglieva due figure ricorrenti e significative dell’immaginazione baudelairiana – profumo e veleno – per dislocarle dall’ordine del linguaggio poetico all’ordine di una moralità che diceva di conoscere i netti confini tra il bene e il male. I Fiori del male furono condannati: al poeta e agli editori fu comminata un’ammenda consistente e sei poesie furono escluse dal corpo del testo. Così tutti gli esemplari messi in vendita presso le librerie furono ritirati e poi rimessi in circolazione senza le sei poesie, con delle pagine bianche al loro posto. Le poesie condannate erano "Lesbo", "Donne dannate", "Il Lete", "A colei che è troppo gaia", "I gioielli", "Le Metamorfosi del vampiro". Quel bianco nella prima edizione testimoniava di una censura, quell’assenza segnalava una ferita inferta al corpo del libro meraviglioso. L’opera che dava alla poesia moderna il respiro dell’impossibile e la sfida dell’estremo, l’opera che raccoglieva nello stesso ritmo la bellezza e l’orrore, la preghiera e la ribellione, la tenerezza e il grido, il dolore e il ricordo, i miraggi del deserto e la fascinazione del mare, le fantasmagorie del viaggio e il disincanto per ogni esotica avventura, quell’opera era sottoposto al miope giudizio di una morale ipocrita. Una morale paurosa della passione, dello slancio, dell’invenzione. Paurosa della centralità del corpo, del profumo che sale dai corpi, dalla lingua dei corpi. Una morale che aveva cancellato dai suoi registri il desiderio. Le sei poesie condannate dal Tribunale, Baudelaire le pubblicò poi nel 1864 a Bruxelles, in una silloge che comprendeva altri poeti, e poi, nel 1866, sempre a Bruxelles (ma con la dicitura Amsterdam), in una raccolta dal titolo Les Epaves ("I relitti"). E non sarebbero state recuperate definitivamente nel corpo dell’opera neppure con la terza edizione, postuma, delle Fleurs du mal (dicembre 1868) curata dagli amici del poeta Asselineau e Banville e introdotta dal bel saggio di Gautier. Sarebbero state pubblicate, però, l’anno dopo in un Complément aux Fleurs du mal , stampato ancora a Bruxelles per lo stesso editore Lévy. Sarebbe passato quasi un secolo prima che, il 31 maggio 1949, una Corte di Cassazione decidesse di annullare la sentenza di condanna dei Fiori del male emessa dal Tribunale della Senna nell’agosto di centocinquant’anni fa. Nella fase di preparazione del processo Baudelaire preparò per il suo avvocato un dossier. Il dossier comprendeva anche uno scritto – di consigli e suggerimenti – che Sainte-Beuve aveva indirizzato al poeta in vista del processo. In questi appunti per la difesa stesi per dare qualche suggerimento al proprio avvocato, Baudelaire più volte ripeteva che un libro di versi andava giudicato nell’insieme: «Un libro di poesia deve essere valutato nel suo insieme e attraverso la sua conclusione». Faceva poi notare che due delle poesie denunciate – "Lesbos" e "Il Rinnegamento di San Pietro" – erano uscite da tempo su rivista e nessuno aveva pensato di denunciarle. E aggiungeva: «Potrei comporre una biblioteca con i libri moderni non denunciati e che non respirano, come invece il mio, l’Orrore del Male. Da più di trent’anni la letteratura ha una libertà che si vuole punire in me». Circa la questione della morale, ecco un altro appunto steso dal poeta per l’avvocato : «Ci sono diverse morali. C’è la morale positiva e pratica alla quale tutti devono obbedire. Ma c’è la morale delle arti. Che è tutt’altra, e da che mondo è mondo, le Arti lo hanno dimostrato bene». Ancora: «Ripeto che un libro va giudicato nel suo insieme. A un blasfemo, opporrò uno slancio verso il Cielo, a un’oscenità dei fiori platonici. Dai primordi della poesia, tutti i volumi di poesia sono fatti così. Ma è del resto impossibile costruire in modo diverso un libro destinato a rappresentare l’agitazione dello spirito nel male». E, ancora, concludendo sulla morale beghina e conformista: «Ormai si faranno solo libri consolanti, libri che servano a dimostrare che l’uomo è nato buono, e che tutti gli uomini sono felici. – Ipocrisia abominevole!». In una storia della censura queste osservazioni baudelairiane raccontano la distanza irriducibile tra la lingua dell’immaginazione e il conformismo, tra la profondità del pensare poeticamente e l’ossequio al buon senso, tra la lingua del desiderio e la morale dell’epoca.
Per ricordare i centocinquant’anni dalla prima edizione, è stata pubblicata la nuova edizione dei "Fiori del male" nella traduzione di Antonio Prete presso l’Universale Classici Feltrinelli (euro 9. 00), dalla quale sono tratte le poesie qui accanto. Prete è anche autore del saggio "I fiori di Baudelaire. L’infinito nelle strade", Donzelli

Ecco una delle poesie di Baudelaire cui fa riferimento l’articolo. Sublime. E con questo, vi lascio. A domani.

Les Métamorphoses du vampire

La femme cependant, de sa bouche de fraise,
En se tordant ainsi qu’un serpent sur la braise,
Et pétrissant ses seins sur le fer de son busc,
Laissait couler ces mots tout imprégnés de musc:
— «Moi, j’ai la lèvre humide, et je sais la science
De perdre au fond d’un lit l’antique conscience.
Je sèche tous les pleurs sur mes seins triomphants,
Et fais rire les vieux du rire des enfants.
Je remplace, pour qui me voit nue et sans voiles,
La lune, le soleil, le ciel et les étoiles!
Je suis, mon cher savant, si docte aux voluptés,
Lorsque j’étouffe un homme en mes bras redoutés,
Ou lorsque j’abandonne aux morsures mon buste,
Timide et libertine, et fragile et robuste,
Que sur ces matelas qui se pâment d’émoi,
Les anges impuissants se damneraient pour moi!»

Quand elle eut de mes os sucé toute la moelle,
Et que languissamment je me tournai vers elle
Pour lui rendre un baiser d’amour, je ne vis plus
Qu’une outre aux flancs gluants, toute pleine de pus!
Je fermai les deux yeux, dans ma froide épouvante,
Et quand je les rouvris à la clarté vivante,
À mes côtés, au lieu du mannequin puissant
Qui semblait avoir fait provision de sang,
Tremblaient confusément des débris de squelette,
Qui d’eux-mêmes rendaient le cri d’une girouette
Ou d’une enseigne, au bout d’une tringle de fer,
Que balance le vent pendant les nuits d’hiver.

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