Harry Potter and the Deathly Hallows
Ok. Il seguente post contiene massicci spoiler sull’ultimo libro, quindi sconsiglio di continuare a chiunque non l’abbia ancora letto fino in fondo. Potrebbe anche passargli la voglia di finirlo. Ammirate una Circe di Waterhouse mentre prendete l’importante decisione, ovvero se continuare a leggere oppure no. «Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder […]
Ok. Il seguente post contiene massicci spoiler sull’ultimo libro, quindi sconsiglio di continuare a chiunque non l’abbia ancora letto fino in fondo. Potrebbe anche passargli la voglia di finirlo.
Ammirate una Circe di Waterhouse mentre prendete l’importante decisione, ovvero se continuare a leggere oppure no.
Sia che abbiate già letto il libro o deciso di rovinarvi quel poco di sorpresa (e non piacevole) che c’è il Harry Potter and the Deathly Hallows, da questo momento la vostra incolumnità cessa di essere un problema mio.
Innanzitutto, per sgombrare il campo da equivoci, The Deathly Hallows è un bellissimo libro, con una trama ben sviluppata ed una buona prosa… almeno fino a due o tre capitoli dalla fine, dove la situazione peggiora vertiginosamente fino a trascinarci a quella che credo sia uno dei più attesi e contemporaneamente peggiori conclusioni della letteratura degli ultimi anni. Cerchiamo di metterci del metodo.
«E qual è quei che disvuol ciò che volle e per novi pensier cangia proposta, sì che dal cominciar tutto si tolle, tal mi fec’ io ’n quella oscura costa perché, pensando, consumai la ’mpresa che fu nel cominciar cotanto tosta»
Debole. La trama fino ad un certo punto, e ad una sorta di sub-conclusione, regge davvero bene sulle basi messe dai precedenti libri (dal secondo in poi): il trio di ragazzi cerca gli horcrux, simulacri in cui Voldemort ha nascosto pezzetti della sua anima, per distruggerli in modo che al prossimo confronto sia possibile ucciderlo. Ed eravamo già sufficientemente impegolati con questi gingilli senza bisogno di inguaiarsi con le deathly hallows del titolo, altre reliquie piuttosto inutili nel quadro complessivo. Inutili sono anche numerose morti: Mad-Eye Moody, tolto di mezzo ingloriosamente all’inizio del libro probabilmente solo perché sarebbe stato d’impiccio all’autrice nello svolgersi degli eventi (così come Edwige), Tonks e Lupin morti per nulla e per di più fuori campo, Fred tolto di mezzo solo per il gusto della scena strappalacrime e la guerriera Bellatrix tolta di mezzo dalla casalinga Molly, scena indecorosa e ridicola risollevata solo dall’urlo di Voldemort. L’unica uscita di scena decente è quella di Snape, anche se sul suo conto si erano indovinati tutti gli arcani da tempo, dal doppio gioco per Silente fino all’amore per la madre di Harry.
«Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto che tu vedrai le genti dolorose c’hanno perduto il ben de l’intelletto»
Altalenante. Sicuramente la parte migliore del libro, mutuata dal pessimo The Order of the Phoenix, è la connessione mentale tra Harry e Voldemort, anche se dopo settecento pagine di reciproci “nessuno lo capisce quanto me”, “io provo quello che prova lui”, “lui vuole questo e farebbe quest’altro”, ciò che uno si aspetterebbe è che i due invece di scontrarsi alla fine convolassero a giuste nozze.
La gestione fanta-sociologica della guerra civile e della ribellione è molto ben strutturata, con i meccanismi politici di ascesa non dichiarata e la resistenza, a scuola, nei vari nascondigli partigiani dell’Ordine della Fenice e via radio (geniale). Fastidiosa è la totale assenza dalla scuola – con il racconto di Neville a riassumere l’accaduto in poche pagine – che crea una sorta di discontinuità con il resto dei libri. Tra i personaggi, proprio Neville è quello strutturato meglio e la cui evoluzione viene portata mirabilmente a compimento: alter-ego di Harry Potter, l’altro bambino che Voldemort avrebbe potuto scegliere come rivale, con tutte le sue qualità ma nessuno dei suoi demoni. Per questo, particolarmente efficace è il decapitamento di Nagini: davvero intenso. Paradossalmente sono proprio i personaggi principali a vacillare: il tentativo di caratterizzare Lupin nel suo nuovo ruolo di marito di Tonks e futuro padre è troppo breve e debole, Hermione e Ron rimangono appena abbozzati e a margine e il loro bacio, a causa degli elfi domestici, è un esempio da manuale su come sprecare qualcosa che si è costruito con fatica e tonnellate di inchiostro. Il migliore resta Snape, nonostante la prevedibilità del “colpo di scena” riguardo alla sua fedeltà a Dumbledore. Sulla coppia Harry – Voldemort, il discorso è complesso e bisogna fare un distinguo di fondo tra quello che sono i personaggi per tutta la durata del libro e quello che succede alla fine, su cui mi soffermerò dopo. Escludendo quindi quell’abominevole parte, la strana coppia è caratterizzata magnificamente: la personalità nervosa, schizofrenica, isterica, maestosa e iraconda del Signore Oscuro è sfaccettata meravigliosamente attraverso i suoi flussi di coscienza nella mente di Harry, e mentirei se dicessi che non vedo l’ora di vedere Ralph Fiennes in queste sequenze (geniale l’autoironica battuta che l’autrice mette in bocca al suo villain quando, verso la fine, questi obietta a Harry di non rifilargli il solito polpettone sull’amore che sconfigge il male). Anche Harry è reso bene nella presa di coscienza del suo destino e nel progressivo controllo di questa sua connessione con Voldemort, in cui si crogiola non poco.
Anche l’evoluzione dei Malfoy non è male: Bellatrix è sempre un grande personaggio, e il progressivo allontanamento di Lucius e Narcissa dalla causa per amore del figlio è ben strutturato e non forzato. Anche l’evoluzione di Draco, le cui basi erano già state messe nei libri precedenti, è ben caratterizzata nella sua via verso l’ammissione di colpa, se non proprio verso la redenzione e il riscatto. Persino Kreacher assume un senso.
Il vero disastro, lasciando sempre da parte l’epilogo, è fatto con Albus Dumbledore. Nel puerile tentativo di dargli spessore psicologico, viene completamente spogliato della sua grandezza e, da che era un saggio con il senso dell’umorismo, diviene un maldestro sciocco capace solo di pianficare le mosse degli altri. Stendiamo un velo pietoso sulla questione della sorella e sulla sua presunta insipienza nell’infilarsi subito l’anello di Voldemort (ma sull’uso leggero dell’insipienza ci tornerò in seguito).
«…e caddi come l’uom cui sonno piglia».
Estremamente autocompiaciuto. Come se si fosse innamorata dei suoi personaggi e stesse facendo della fan-fiction, la Rowling ciondola quasi come nell’Ordine della Fenice e incespica con i personaggi quasi come nei primi due libri. Si concede tanti, troppi siparietti narrativi che avrebbero fatto meglio a restare sottointesi. Nei momenti di maggiore pathos sembra non sappia cavarsela meglio che infilando di seguito frasi brevi unite da congiunzione (es: “and he fell on the floor and she was screaming and then they started dancing tip-tap”). Ridicolo, dopo l’esperienza che dovrebbe aver accumulato.
«Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote»
Harry avrebbe dovuto morire. Lo sapevamo. Era lui l’ultimo horcrux, l’ultimo simulacro in cui Voldemort aveva involontariamente posto parte della sua anima: avrebbero dovuto morire entrambi, tutto si sarebbe chiuso perfettamente. Ovvero, il tutto sarebbe stato passabile se si fosse concluso più o meno a quattro capitoli dalla fine, quando in effetti sia Voldemort che Harry cadono dopo una maledizione mortale dell’Oscuro Signore. Avrebbero anche potuto esserci finali diversi, meno scontati, in cui ad esempio si scoprisse che Voldemort è morto prima del primo libro e quello che abbiamo visto è solo una proiezione della mente squilibrata di Potter, che a questa scoperta si toglie la vita. Oppure, la mia conclusione preferita, la Rowling avrebbe potuto accontentare tutto celebrando infine l’unione della strana coppia e delle sue affinità elettive (ma solo seguita da un’unione Ginny-Hermione, per par condicio nei confronti della comunità lesbica).
Invece avviene l’assurdo: Harry che incontra Dumbledore alla stazione di King’s Cross, la spiegazione di come Voldemort avrebbe distrutto egli stesso lo horcrux con la sua maledizione (eh, ma quest’uomo non ne imbrocca una!), la scelta di tornare indiero, l’assurda contorsione della trama con doppio salto carpiato per cui la bacchetta di Voldemort apparterebbe in realtà ad Harry (nemmeno ve la spiego, tanto è contraddittoria e ridicola). Voldemort e Dumbledore, i due grandi maghi, sono entrambi dei cretini: più saggio, erudito sulle arti magiche e avveduto è il ragazzino occhialuto: il Signore Oscuro non cade ancora per via dell’amore – per sua gioia e, dopo sette libri in cui si dà così tanto da fare, almeno questa piccola soddisfazione se la meritava – ma per insipienza nei riguardi di qualcosa che lui stesso ha ricercato. Signore e signori, un cretino.
E, dulcis in fundo, l’epilogo zuccheroso diciannove anni dopo, su chi ha sposato chi e come si chiamano i figli. In un supremo atto di viltà, i desideri dei lettori più immaturi vengono ciecamente assecondati, si scivola nella banalità sentimentale più disgustosa e ci si lascia acutamente aperte le porte per un seguito, a meno che la non effettiva distruzione di un horcrux secondo le direttive non sia semplicemente un errore.
In sintesi, un’operazione commerciale della peggiore specie, un esempio di quella che comunemente viene chiamata prevaricazione dell’ego sulla trama. Sono profondamente delusa, soprattutto nella misura in cui, anche all’interno di questo stesso libro, c’erano tutte le basi per qualcosa di molto potente e significativo. Una splendida occasione sprecata.
Vi sono anche altre cose su cui vorrei soffermarmi, ma penso di aver scritto abbastanza, per ora. Magari ci tornerò in seguito.
io mi ferma allo splendido dipinto di waterhouse, anche se i tg nazionali mi hanno già rovinato il finale…
Ehi Shelidon, lo scriviamo io e te il seguito?
ci scommetti che Harry muore?
Io sarei per riscrivere direttamente questo libro, con un finale più sensato (e qualunque cosa andrà bene), molte prodezze conigliesche, stragi sanguinolente da far crescere squilibrati tutti i giovani lettori ed una buona dose di splatter. Ci stai?
Shel, che ne pensi di:
“Lobo, contratto su Harry Potter”
?
Secondo me rischia di essere meglio di questo libro…
Comunque era prevedibile che un successo del genere incrinasse proprio le caratteristiche che il successo lo avevano causato…
Prevedibile, ma ammetto di non aver previsto uno sfacelo fino a questi livelli…
Ci sto sì.
Vedo già riti orgiastici e squartamenti tutti belli impressi nella mia mente
Con ecatombe finale e rigorosa assenza di lieto fine, vero? Io ci sto!