Picasso e il circo
Articolo dal Manifesto del 28 marzo, in cui si parla di una mostra sul sottile filo che ha legato Picasso e il circo. Peccato che ancora non è sicuro se arriverà in Italia oppure no. Fra Arlecchini, cavallerizze e saltimbanchi l’attrazione fatale di Picasso per il circo –Arianna Di Genova Dopo la tappa di Barcellona, […]
Articolo dal Manifesto del 28 marzo, in cui si parla di una mostra sul sottile filo che ha legato Picasso e il circo. Peccato che ancora non è sicuro se arriverà in Italia oppure no.
Fra Arlecchini, cavallerizze e saltimbanchi l’attrazione fatale di Picasso per il circo –Arianna Di Genova
Dopo la tappa di Barcellona, arriva a Martigny, presso la Fondazione Gianadda, una mostra speciale titolata Picasso e il circo (visitabile fino al 10 giugno) che, in un percorso di circa trecento opere fra dipinti, disegni, incisioni, sculture e ceramiche, indaga l’attrazione fatale dell’artista spagnolo per i numeri acrobatici da pista. Un amore cominciato in giovane età quando Picasso, adolescente, andava a sedersi sui gradoni del circo Tivoli a Barcellona, consumando una precoce storia d’amore con la cavallerizza Rosita del Oro e dipingendo cavalli alle prese con movimenti rotatori e ipnotici. Poco dopo, quando l’artista si trasferì a Parigi, elesse l’amazzone a unica regina dei suoi album. Solo in seguito arriveranno le celebri famiglie di saltimbanchi. Nonostante la frequentazione quotidiana di alcuni di loro e la stretta amicizia con acrobati come Marnitz e Manello, gli equilibristi Adonis e Liona Golunko, il domatore Chas Baron, il pagliaccio Grock, i suoi personaggi si caratterizzeranno come individui pervasi da una schiacciante malinconia. Eppure furono proprio gli acrobati ad inaugurare la nuova stagione della pittura picassiana, quel periodo rosa più rilassato e meno «espressionista» del precedente blu. Ma l’artista non immortalò mai i circensi sotto i riflettori dello spettacolo; preferì ritrarli su strade polverose, in atteggiamenti assorti, compagnie stralunate di outsider che finirono per rappresentare una sorta di doppio esistenziale. Anche Picasso, straniero e appena «emigrato» in Francia, doveva sentirsi un acrobata della vita, in preda all’erranza. Così, una volta arrivato sulla butte di Montmartre, il circo attirò Picasso molto più dei cafè chantants e del Luna Park. Lì, c’era il Medrano a calamitare gli sguardi di intellettuali come Max Jacob, Cocteau e Apollinaire. Al gruppo gaudente si unì anche l’artista di Malaga. Dopo gli spettacoli, Picasso cominciò a rimanere in compagnia di quella gente, fermandosi al bar dell’Hotel des Deux Hémisphères dove molti di loro alloggiavano. Il clown, soprattutto l’Augusto, l’anarchico sperimentatore di un territorio senza legge, divenne il protagonista dei suoi dipinti e Picasso iniziò a ritrarsi nei panni del buffone di corte o dell’Arlecchino, principe della Commedia dell’arte «traslocato» nelle più moderne piste parigine. Ne La famiglia dei saltimbanchi (1905), l’artista si impegnò definitivamente a mettere in freezer i suoi eroi, cancellando ogni accenno di azione, fra i blu di prussia e i rosa pallidi. Quadri come Madre e figlio (1905) e gli innumerevoli attori di compagnie da baraccone – acrobati, clown, cavallerizze, equilibristi – furono i nuovi «eletti». Rappresentavano un popolo dall’identità nomadica e con un dna segnato dalla nostalgia del ritorno. Gertrude Stein, la ricca americana, collezionista e mecenate che aiuterà il difficile esordio di Picasso, ricordò spesso quanto il pittore, insieme agli amici, frequentasse il circo: «Almeno una volta alla settimana si ritrovavano tutti al cirque Medrano. Si sentivano fierissimi di potersi mescolare ai clown, ai prestigiatori, ai cavalli e cavallerizzi. A poco a poco, Picasso fu sempre più francese e cominciò il periodo rosa o degli Arlecchini». E anche la compagna di allora, Fernande Olivier, confessò che solo dentro l’arena del Medrano Picasso tornava felice. Ma i soggetti che immortalati sui quadri sono solo in apparenza più gioiosi dei diseredati di un tempo: saltimbanchi e giocolieri sembrano deprivati del loro passato ma anche dell’attesa di un futuro; non sono altro che una schiera di personaggi risucchiati dall’apatia, fragili creature avvolte nel bozzolo di una indifferenziazione sessuale. L’omaggio al mondo del circo – che durò tutta la vita – comprese anche l’incursione di Picasso nel teatro, quando venne chiamato a disegnare i costumi e il sipario di Parade. Il balletto del 1917, preparato a Roma e andato in scena a Parigi tra le polemiche, fu il frutto irripetibile di un cast stellare (librettista Cocteau, musicista Satie, impresario Diaghilev, presentazione Apollinaire, coreografo Massine, costumi Picasso). Se nella grande tenda che apriva sul palcoscenico, l’artista dette l’addio al cubismo tornando a un classicismo fiabesco, nei costumi dei manager scompose i corpi, in una serie di marionette tutte metropolitane e nella figura disarticolata del cavallo fece rivivere, seguendo anche i desideri di Cocteau, lo spirito di una entrée del celebre trio dei Fratellini, clown adorati dall’avanguardia.
magari scendesse dalla svizzera qui in italia. intanto io mi preparo a quella sui simbolisti che a giugno arriva da ferrara a roma.
Picasso è una figura che mi affascina molto. Ho saputo che il suo vero cognome sarebbe stato Ruiz, mentre Picasso era quello della madre. Ti risulta?
Esiste, che tu sappia, una buona biografia?
ciao
Eh, Heraclitus, me l’hai già detto e sono estremamente invidiosa! Spero di riuscire a fare un salto anch’io a vedere quella mostra.
Paolo, io ho trovato ottima la biografia in più volumi di John Richardson, ma onestamente non so se sia mai statatradotta in italiano. In effetti il suo cognome era Ruiz (ma non so se abbia a che fare con il tuo Pepito *__^). Anzi, il suo nome completo era Pablo Diego José Santiago Francisco de Paula Juan Nepomuceno Crispín Crispiniano de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz Blasco y Picasso (!!!)
Ho in mente tele sublimi di arlecchini e clown picassiani: uno in particolare di un clown grasso a fianco di una sfera ed uno magro a fianco di un cubo, su una strada di campagna. Era cubismo in fieri.
Apollinaire ha scritto molto di questa attrazione di Pablo per il circo. Peccato sia morto così presto, chissà cosa sarebbe potuto nascere dal sodalizio Apollinaire/Picasso.
Io amo in particolare l’Arlecchino incompiuto, un grande disegno a pastelli colorato solo in parte chwe ho visto al museo Picasso di Parigi…
Si dice che i grandi ci lasciano sempre troppo tardi: nel caso di Apollinaire è ancora più vero.