Expo – giorno 1
Impossibile vederla tutta in un giorno. Impossibile vederla tutta, ipotizza qualcuno. Di certo, questa nostra esposizione universale milanese è un animale all’altezza delle aspettative. O, per lo meno, si è rivelata un animale all’altezza delle aspettative di un architetto e due informatici. Sospetto che un tecnico del settore agroalimentare ne sarebbe rimasto maggiormente deluso, dato che la […]
Impossibile vederla tutta in un giorno.
Impossibile vederla tutta, ipotizza qualcuno.
Di certo, questa nostra esposizione universale milanese è un animale all’altezza delle aspettative.
O, per lo meno, si è rivelata un animale all’altezza delle aspettative di un architetto e due informatici. Sospetto che un tecnico del settore agroalimentare ne sarebbe rimasto maggiormente deluso, dato che la percentuale di esposizioni veramente in tema è irrisoria rispetto alla gran massa di generiche dimostrazioni turistiche. Ma se siete un architetto o un informatico, se siete appassionati di tecnologie per lo spettacolo o aspirate ad aprire un ufficio della pro loco, questa è un’esposizione che fa per voi. E che non vi deluderà.
Ecco quindi il diario di un primo giorno all’expo, i cui obiettivi principali erano evitare il sole ed evitare le troppe code. Pochi grandi nomi, quindi. Ma comunque piccole soddisfazioni e qualche consiglio.
Azerbaijan: due palle
Anzi, tre. Il padiglione dell’Azerbaijan, primo della visita in rigoroso ordine alfabetico, sorprende e incanta con la sua architettura, nonostante somigli tantissimo a una trappola degna di Indiana Jones. E non sorprende che il progetto sia tutto italiano. Il concept del padiglione è merito di Arassociati e del network Simmetrico, mentre l’architettura è stata realizzata da People & Projects: sulla pagina dedicata del loro sito, alcune splendide fotografie delle strutture in acciaio preassemblate in officina, e del vetro curvo che chiude le tre sfere attorno a cui si articola il complesso e raffinato percorso del padiglione. Alla sua concezione ha collaborato anche lo studio di paesaggisti AG&P, autore tra l’altro del Heydar Aliyev Center Park a Baku, capitale dell’Azerbaijan. Proprio a Baku è diretto il padiglione, che dopo Expo sarà smontato e rimontato in patria.
Per i contenuti, il padiglione punta sulla multimedialità: flussi di luci e suoni simulano i flussi culturali e i venti, le sfere simboleggiano le biosfere e raffigurano diversi habitat. Tuttavia non centra a pieno il tema. Alcune porzioni sono interessanti: in una postazione, è possibile osservare la sintetizzazione della propria mano, e interagire con la sintetizzazione di varie specie animali. L’ingresso è occupato da prismi di varia altezza che vengono illuminati in modo apparentemente casuale, e rivela il suo senso una volta che ci si trova al piano superiore. La sfera superiore è interamente occupata da strumenti musicali. La piattaforma panoramica risponde alla domanda che mi ero posta tempo fa circa l’effettiva utilità di una piattaforma panoramica in zona Rho Pero (pregasi verificare la fotografia sottostante, courtesy of Raffaele Castagno come molte delle fotografie in questo post).
Architettura: 5/5
Contenuti: 2/5
Per approfondire: Domus, 9 dicembre 2014.
Bahrain: botanico
Altrettanto sorprendente, il taglio degli spazi scelto nell’architettura per il padiglione del Bahrain, a cura di Anne Holtrop, olandese, affiancata dalla paesaggista Anouk Vogel. Percorsi sinuosi, allusioni, un gioco sapiente che sfrutta gli scorci di un taglio stretto e poco facile. Un sistema di illuminazione estremamente suggestivo (se solo i padiglioni rimanessero aperti abbastanza a lungo da consentirne la visita in notturna). E alcuni deliziosi dettagli tra cui i solchi nel pavimento, che incanalano l’acqua piovana verso gli alberi da frutto.
E’ stato costruito con pannelli prefabbricati in calcestruzzo e terminato l’expo verrà riportato in patria, dove diverrà un giardino botanico.
All’interno del padiglione, il focus principale è l’agricoltura: dieci diversi frutteti, con dieci diverse specie tra cui il banano, il fico, il fico d’India, la palma da dattero, il melograno e la papaya. Sul sito del padiglione, viene indicato quale albero è in fiore in questo momento, e in quali dei giardini è possibile osservarlo. Contaminazioni di contenuto francamente non richieste espongono anche alcuni reperti archeologici, tra cui vasi e sigilli.
Architettura: 5/5
Contenuti: 4/5
Per approfondire: Dezeen, 12 maggio 2015.
Estonia: altalenante
Botanici tanto quanto il Bahrain, ma forse meno riusciti, gli estoni abbandonano gli sgargianti colori che li avevano contraddistinti a Shanghai e scelgono di realizzare una struttura interamente rivestita in legno, la cui caratteristica più vistosa sono forse le altalene che appaiono incorniciate nei fori squadrati della facciata: le altalene sono funzionanti e possono essere utilizzate, nel pieno rispetto di quello che è il vero argomento dell’expo al di là delle culture enogastronomiche locali, per trasformare l’energia cinetica in energia elettrica e, ad esempio, ricaricare il proprio telefono. Al piano superiore, alcune vasche verdi consentono di osservare specie vegetali locali e, tramite l’utilizzo di piccoli cannocchiali posti in punti strategici, di specie animali nel loro habitat corrispondente. Simpatici tutorial cercano di insegnarvi a danzare, senza motivo. Altri video ritornano in tema selezionando il vostro piatto estone preferito dopo avervi fatto scegliere stagione e luogo. Potete pedalare per fare un tour virtuale di Tallin. Ma poi un negozio tenta di vendervi strani attrezzi per strani sport, e orribili mug. Forse l’Estonia è un paese troppo in espansione, e le avrebbe giovato uno spazio più piccolo in cui concentrare solo gli exibit più interessanti.
Il progetto del padiglione è di KTA, uno studio di Tallin.
Architettura: 3/5
Contenuti: 3/5
Per approfondire: Archipanic, 5 maggio 2015.
Francia: incantevole
Ci sono poche parole per esprimere il padiglione della Francia, se non incantevole, ed ero stata tra i primi a esprimere scetticismo quando i primi render del progetto erano stati resi pubblici. Anouk Legendre e Nicolas Desmazières di XTU Architects progettano una struttura organica complessa in legno, una dimostrazione di virtuosismo tecnico che ha richiesto un robot a controllo numerico per il taglio delle singole componenti. Come molte altre nazioni, la Francia sceglie di accompagnare i visitatori nell’attesa, e di fronte al padiglione stende un orto botanico di erbe aromatiche attorno alle quali si snoda la fila. Una volta giunti al padiglione, ci si trova in un ambiente interno-esterno, coperto dalla spettacolare struttura in legno i cui vuoti vengono tamponati da terra e coltivazioni, erbe appese a seccare, monitor e prodotti a testa in giù, cilindri pieni di semi. Grandi cupole bianche contengono esperienze sensoriali di varia natura: si va dall’odorosissima campana delle tisane a spaventevolissime simulazioni di mucche muggenti. Altrove, è possibile ammirare piccole pianticelle messe sotto carica. L’atmosfera è deliziosa.
Architettura: 5/5
Contenuti: 4/5
Per approfondire: Dezeen, 6 maggio 2015.
Germania (o meglio, il suo tetto)
Impossibile avvicinarsi al padiglione tedesco senza fare chilometri di coda, e pare proprio che ne valga la pena. Ci siamo limitati a visitare la copertura del padiglione, dalla quale è possibile interagire con le esposizioni all’interno (id est parlare in un tubo sperando che qualcuno, da sotto, risponda). Simpatiche informative che sembrano uscite da un sussidiario o da un giornalino degli anni ’30, con giunoniche matrone vichinghe, piatti di würstel e il suono registrato di paperelle che dal Reno vi fanno ‘ciao’ come le caprette di Heidi.
L’interno del padiglione pare sia una spettacolare sarabanda di nuove tecnologie e interattività. Se non ve la sentite di affrontare la coda, anche la copertura merita.
Architettura: 4/5
Contenuti: 1/5
Slovacchia: disturbo, inquietudine e una venere grassa
Un padiglione che è una raccolta delle “bellezze” nazionali, fuori tema rispetto al tema dell’expo (o, comunque, abbastanza criptico da non risultare lampante a un architetto e due informatici). Impossibile non citare, comunque, il gigantesco pollo incazzato (e probabilmente sarei incazzata anch’io dopo aver appena deposto quell’uovo), l’albero di sigarette che forse erano flauti, le modelle scarabocchiate, l’oculus rift meno user-friendly del mondo o le panchine di palline da tennis (con tanto di enormi cartonati dei giocatori). Sarei ingenerosa tuttavia se non citassi anche la Venere di Moravany, una delle celebri veneri preistoriche. E non è tanto l’oggetto a meritare menzione, quanto il modo in cui l’oggetto è stato esposto. Una riproduzione tridimensionale della Venere si trova su un monitor, di fronte a un totem che regge un normalissimo prisma di plastica. Prendendo in mano il prisma e maneggiandolo, il modello tridimensionale della venere reagirà in tempo reale come se si stesse muovendo la statuetta, consentendo di osservarla da qualunque angolazione. Un’esperienza semplicissima, ma decisamente interessante.
Architettura: 1/5
Contenuti: 1/5
Vietnam: il sovraffollato villaggio degli ewok
Un incantevole edificio a due piani costruito da un assembramento di ombrelli, ospita una sorta di mercatino abusivo con piccoli gioiellini di carta, ciarpame vario, strumenti musicali improbabili che sarebbero ottime idee regalo per la charade con mio zio il prossimo Natale. Nel giorno della nostra visita, un piccolo gruppo in costume tradizionale si esibiva con alcuni strumenti tipici. Piacevole. Ma dannatamente affollato.
Architettura: 4/5
Contenuti: 1/5
Kip: ciociaria e frutta marcia
Il giorno in cui siamo andati all’expo, il padiglione del Kip ospitava una manifestazione della Ciociaria che non ha giovato ad uno spazio interno spoglio e poco accattivante.
Nel cortile invece, su un tavolo ricoperto di iuta, erano esposti “frutti in disuso”, ovvero quelle specie di frutta che l’agricoltura ha dismesso perché difficili da coltivare o esteticamente inadatte al grande pubblico. Ora, è difficile definire “affascinante” un’esposizione di frutta già brutta di suo, per di più messa a marcire al sole inclemente di giugno, eppure vi garantisco che la tavolata comunicava molto bene il senso di nostalgia contadina e patriottica di chi l’aveva allestito, ed è sconcertante osservare quante varietà di mela esistano, a nostra insaputa.
Architettura: 3/5 (l’esterno risolleva l’interno)
Contenuti: 4/5 (vedi sopra)
Fabbrica del Duomo: fuori luogo
Letteralmente, intendo. Perché il padiglione della Veneranda Fabbrica del Duomo non fosse al posto che gli spetta, ovvero insieme agli altri corporate pavillion, rimane per me un mistero. Ci regala pezzi di Duomo e la mia bela madunina. Non si mangia. Grazie al cielo. E nonostante ciò, l’edificio è un onesto compito di progettazione.
Architettura: 2/5
Contenuti: 1/5
Ungheria: uccelli e pianoforti aereodinamici
Lasciatemi dire, a costo di generare false aspettative, che la parte migliore dell’esposizione ungherese sono gli uccelli. Il fotografo Bence Mate, noti agli appassionati di scatti naturalisti, ci regala infatti almeno due gemme: il topino che vola, altrimenti detta “Ma porca miseria”, e lo sparviero che beve, altrimenti detta “Si può sapere che cazzo vuoi?”.
Per il resto, il padiglione è dimenticabile e certamente ha molto poco a che vedere con il tema dell’expo.
Architettura: 1/5
Contenuti: 1/5
Coop: il futuro è qui
Ok, magari non il futuro prossimo. Più il futuro anteriore. Un po’ come quello che si vede nella palla sinistra di Rat-Man, per intenderci.
Nel suo “supermercato del futuro”, Coop mette a disposizione una sarabanda (realmente funzionante) di domotica e interattività, informative sull’origine dei prodotti e il valore nutrizionale degli alimenti, packaging degni di viaggi interstellari e un robot che, dopo aver fallito nel tennis, è finito a incartare le mele. Una versione futurista e salutista, se vogliamo, della più celebre marmotta.
E curiosamente questo padiglione risulta essere molto più a tema di tante sue controparti istituzionali.
Architettura: 1/5
Contenuti: 5/5
Il lato dadaista della Svizzera
Sono una visitatrice disattenta e per questo non ho ben capito come mai, ma una parte meno celebre del padiglione svizzero (proprio ai piedi delle due torri che in fondo sembrano dimostrarci di avere abbastanza mele per tutti) è dedicata all’acqua e alla corrente dadaista. Così, accanto a nuovi sistemi per purificare acque provenienti da fonti poco nobili, bottiglie di vetro vengono collezionate e messe in mostra, assemblate a formate futuristici sputnik, illuminate nella scritta “Dada”. E, naturalmente, gli immancabili pesci. Da vedere.
Architettura: 4/5
Contenuti: 5/5
Slovenia: sale e api
Sale e api. Questo è tutto ciò che sembrano avere nel pur incantevole padiglione sloveno, dove un simpatico draghetto vi accoglierà ruttando. Se non vi lasciate intimidire da questa creatura mitologica, e riuscite a superare indenni le ragazze che cercano di appiccicarvi addosso gli adesivi “sLOVEnia” con il cuoricino, potrete affrontare una delle sfide più difficili di un’expo estesa e assolata: camminare nel sale. La prima stanza infatti è occupata da grandi vasche piene del celebre (?) sale sloveno e i visitatori sono invitati a togliersi le scarpe e fare due passi all’interno. Dicono sia un’esperienza ritemprante. Sempre che vi piaccia poi camminare per il resto dell’expo con le scarpe piene di sale grosso. Esperienza probabilmente più consigliata ai portatori di sandali.
La seconda stanza, come molte installazioni all’interno di questa expo, è dedicata alle api. Una festa, per un’entomofoba come me. In questo caso, decisamente meno disturbante rispetto alla Gran Bretagna di cui parlerò in seguito, l’esposizione si limita a una parete di celle esagonali a specchio, che muovendosi reagisce alla posizione dei vistatori.
Purtroppo sembra che la nazione non ne abbia abbastanza per riempire un padiglione, perché le rimanenti sale sono dedicate all’energia eolica (e va bene), all’alpinismo (già meno bene), allo sci e ad altre amenità.
Architettura: 4/5
Contenuti: 5/5 (nelle sale a tema) 1/5 (nel resto delle sale)
Gran Bretagna: buzz buzz
Odio le api, e questo non è un segreto. Purtroppo, pare che uno dei modi più popolari e maggiormente suggeriti per riportare l’equilibrio agroalimentare nel pianeta sia proprio riempirci di api. E su questo argomento punta, in toto, la Gran Bretagna. Con un padiglione coraggiosamente all’aperto, che si snoda in un labirinto di tracce esagonali tra vasche di erbe aromatiche ad altezza d’uomo e pareti microforate che ricordano un alveare attraverso le quali è possibile sbirciare un cartone animato sull’impollinazione.
Architettura: 4/5
Contenuti: 5/5
Stati Uniti: polpette sugli spaghetti e caccia al tacchino
La parte più vistosa del padiglione americano è il suo sviluppo in altezza. La parte più interessante, è il bunker sul retro. A fronte d’un tempo di attesa irrisorio, potrete entrare in un labirinto di sette sale dove vedrete proiettati, in sequenza, sette capitoli dell’alimentazione americana: dall’immigrazione italiana alla caccia al tacchino, dal barbeque allo street food, fino alla rivoluzionaria soluzione proposta per ridurre gli acquisti al chilometro zero: installare degli orti sui tetti dei grattacieli. Difficile stabilire se siano seri o meno.
Architettura: 4/5
Contenuti: 5/5 (perfettamente in tema, anche se superficiali in modo angosciante)
Padiglione della Francia :
Architettura: 5/5
Thank you !! :)
All the best,
XTU architects
Well deserved, and thanks to you!