Let’s do the Time Warp (again)
Sono passati tanti anni da quando il Rocky Horror Show è stato a Milano l’ultima volta. Sono passati talmente tanti anni che al Teatro Nazionale non era ancora passato Piero Lissoni e la grande sala aveva ancora le tradizionali poltrone rosse. Per l’esattezza, sono passati dieci anni. Anche se la cosa fa un po’ impressione. Allora […]
Sono passati tanti anni da quando il Rocky Horror Show è stato a Milano l’ultima volta. Sono passati talmente tanti anni che al Teatro Nazionale non era ancora passato Piero Lissoni e la grande sala aveva ancora le tradizionali poltrone rosse.
Per l’esattezza, sono passati dieci anni. Anche se la cosa fa un po’ impressione.
Allora il ruolo di Frank N Furter era interpretato da uno straordinario, inimmaginabile Bob Simon, che riuscì a trasformare I’m going home in un autentico trionfo, seguito da buoni e meritatissimi dieci minuti di ininterrotti applausi. Il narratore era estremamente glam e deliziosamente magnetico nel coinvolgere il pubblico con il suo squisito accento. Rocky era… beh, come dire… diciamo che era molto molto abbronzato, ecco.
Quest’anno, il Rocky Horror torna con un cast diverso e si insedia al Teatro della Luna, per rimanerci fino al 20 maggio. E sembrava semplicemente appropriato che, dovendo festeggiare anche i nostri dieci anni, si andasse proprio a vedere una storia romantica come questa.
Lo spettacolo inizia ancora prima di iniziare, con la proiezione di spezzoni vintage tratti da quei b-movie di culto cui fa riferimento il primissimo brano del musical, ovvero Science Fiction, Double Feature. Troviamo quindi Ultimatum alla Terra, L’uomo invisibile, quel King Kong con Fay Wray che verrà citato dalle stesse scenografie nel musical e l’improbabilissimo Tarantula, con una pletora di mostri e alieni, dame in pericolo e intrepidi eroi. Poi sullo schermo appare il pianeta terra, e presto diventa sfondo per il primo numero musicale.
Uno spettacolo quindi che non si affida del tutto alle scenografie tradizionali ma fa uso di alcune quinte multimediali, sia per le prime scene che per il viaggio d’arrivo al castello. Ma il palco è forse troppo piccolo, i microfoni un po’ tradiscono (e un po’ a tradire è la voce). Fatto sta che personalmente la rappresentazione non mi conquista, almeno fino a quando non si illumina un omone pallido e allampanato, in cima a una scala, con occhialetti alla John Lennon e una certa somiglianza con il mio amico Glorfindel. Stuart Matthew Price è un Riff Raff straordinario, epico, che irrompe in There’s a Light con un vocalizzo inaspettato e da brividi (vedere per credere qui, qui o qui) e ci accompagna, in un crescendo costante, attraverso il Time Warp fino a Sweet Transvestite. E il problema di Rob Fowler (Frank) non è tanto quello di essere biondo – ci mancherebbe, non siamo così puristi – quanto quello di entrare in scena dopo una performance del genere. Un Frank sensuale, certo, e irresistibile nel rispondere da diva offesa alle tradizionali interazioni del pubblico, ma un Frank che manca della giusta potenza vocale, specie se confrontato con Bob Simon (e come dimenticare la sua gag dello svenimento, complice il tecnico delle luci?).
Fowler ci regala comunque un delizioso Whatever happened to Fay Wray durante il Floor Show, che lo vede indossare l’abito bianco della diva, e apparire seduto su una gigantesca mano di King Kong con alle spalle il cartonato di New York. E l’intero Floor Show, con piume di struzzo e un tripudio di sipari, giunge come una sorpresa al termine di una serata parzialmente sottotono: Columbia tira fuori la voce, Janet tira fuori la grinta, il corpo di ballo dà fondo alle munizioni, il vero aspetto dei due servitori è a dir poco esilarante. E io rimango con la sensazione di essere incappata in una serata parzialmente sfortunata, per un cast che non ha dato il suo meglio. Shall we try that Time Warp again?