In onore di Toscanini

Il Manifesto di oggi mi ricorda che è l’anniversario di Toscanini. Dallo stesso giornale, che invito ad acquistare, segnalo anche l’articolo sul Future Film Festival, di Thomas Martinelli, e il bellissimo articolo di Cristina Piccino dal titolo "Una «visita guidata» tra le ossessioni femminili del contemporaneo", che magari posterò domani. Toscanini. Nel suo gesto la […]

Il Manifesto di oggi mi ricorda che è l’anniversario di Toscanini. Dallo stesso giornale, che invito ad acquistare, segnalo anche l’articolo sul Future Film Festival, di Thomas Martinelli, e il bellissimo articolo di Cristina Piccino dal titolo "Una «visita guidata» tra le ossessioni femminili del contemporaneo", che magari posterò domani.

Toscanini. Nel suo gesto la memoria del violoncello Arrigo Quattrocchi
Non era mai successo, in Italia, che una qualche ricorrenza legata alla figura di un interprete musicale fosse ricordata con un piano articolato di iniziative, coordinate da un comitato internazionale appositamente insediato presso il ministero dei beni culturali, e non è un caso che di tante attenzioni sia protagonista proprio la figura di Toscanini, scomparso, quasi novantenne, il 16 gennaio di cinquant’anni fa. Nessun altro interprete del Novecento – a parte Maria Callas – è stato proiettato, mentre era ancora vita, in una aura tale da alimentare leggende sull’uomo e sull’artista capaci di varcare abbondantemente gli ambienti della musica colta. Toscanini, come direttore, è stato per molti anni il personaggio simbolo del maggiore teatro italiano, la Scala; è stato il maestro che ha tenuto a battesimo molte opere-chiave del repertorio operistico, come La bohème, La fanciulla del West e Turandot di Puccini, Pagliacci di Leoncavallo; è stato il primo musicista non tedesco a ricevere l’invito a dirigere Wagner presso il «tempio» del Festival di Bayreuth; appositamente per lui la National Broadcasting Corporation fondò, nel 1937 a New York, una orchestra che venne sciolta quando, nel 1954, il maestro depose definitivamente la bacchetta, a ottantasette anni. Nessun direttore d’orchestra – nemeno Karajan – è stato altrettanto richiesto e ammirato al di qua e al di là dell’oceano, né si è visto riconoscere una autorità maggiore.

Nessun compromesso politico. Tuttavia, i motivi che hanno trasformato in un mito il direttore d’orchestra italiano non sono legati soltanto alla sua professione; nella biografia di Toscanini le vicende della musica si intrecciano con gli eventi del secolo. Nel 1949 il maestro declinò la nomina a senatore a vita che gli aveva conferito il presidente Einaudi. C’era, in quella nomina dell’immediato dopoguerra, non solo l’omaggio al musicista, ma il riconoscimento all’uomo che aveva saputo dire di no ai totalitarismi. In Italia la dittatura fascista non si curò troppo dell’adesione al partito dei musicisti più in vista, purché svolgessero adeguatamente i loro incarichi. Tullio Serafin assunse la guida dell’Opera di Roma senza avere preso la tessera del partito, né la prese in seguito. Vittorio Gui, personaggio di grande statura intellettuale, fondatore nel 1928 dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, fece di più: aderì, nel 1925, al manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. Diresse però a Salisburgo nel 1938, dopo l’Anschluss. Toscanini non scese mai a simili compromessi. La sua intransigenza sul lavoro, che lo portava a richiedere sempre il massimo alle orchestre e ai solisti – celebri le sfuriate, con urla e improperi, durante le prove – era espressione di una istanza etica che informava anche i suoi comportamenti nella vita pubblica.

La lunga permanenza negli Usa. Figlio di un garibaldino, anticlericale e antimonarchico, Toscanini non era un uomo politicamente schierato (curiosamente accettò una candidatura pro forma nel 1919 proprio per il partito fascista delle origini, che aveva un programma per molti versi di estrema sinistra); era però, nell’Italia liberale conservatrice, monarchica e bigotta, un sincero democratico, che riteneva irrinunciabile la libertà di pensiero. Aveva probabilmente rafforzato questo suo credo democratico nel corso della lunga permanenza negli Stati Uniti, prima fra il 1908 e il 1915 alla guida del Metropolitan di New York, e poi, dal 1926 per un decennio, della New York Philharmonic Orchestra. Coerentemente, nel corso degli anni trascorsi alla Scala, dal 1921 al 1929, rifiutò in più occasioni di dirigere l’inno fascista in presenza delle autorità del partito. La manifestazione più celebre di questa ostilità si attuò a Bologna nel 1931, quando il rifiuto di dirigere «Giovinezza» gli procurò l’aggressione di alcuni squadristi; fu, per sua precisa scelta, il suo ultimo concerto in Italia durante il fascismo. Naturalmente, l’ascesa di Hitler al potere rese per lui intollerabile continuare a dirigere in Germania: perciò abbandonò il Festival di Bayreuth, dove era ospite dal 1930, e accettò l’invito del Festival di Salisburgo, dove fu protagonista dal 1935 per tre estati consecutive; rifiutò però di tornarvi nel 1938, dopo l’Anschluss. Per solidarietà con gli artisti ebrei fondò una orchestra della Palestina, primo nucleo della futura Orchestra Filarmonica di Israele. Nei confronti dei colleghi che, come Beecham e Furtwängler, continuavano a dirigere in Germania, non risparmiò giudizi e commenti sferzanti, prese di posizione che approdarono, nel 1938, alla decisione di lasciare definitivamente l’Italia per un esilio volontario negli Stati Uniti. Dopo la guerra, quando la Scala, sventrata dai bombardamenti alleati, venne immediatamente ricostruita dal sindaco socialista Antonio Greppi, come segno dell’avvenuto superamento delle macerie materiali e morali della città, il ritorno del vecchio maestro venne invocato come quello dell’unica personalità dotata dell’autorità morale necessaria a celebrare il rito della riapertura. Toscanini accettò l’invito, e anche per questo la serata dell’11 maggio 1946 sarebbe entrata nella storia.
Con l’orchestra della Nbc.
È probabile che la biografia di Toscanini abbia contribuito a creargli intorno un’aura di beatificazione che si prolungò a lungo – fino al fondamentale studio di Harvey Sachs, del 1978 – incoraggiandone l’agiografia. Concentrate sulle vicende private del musicista – le innumerevoli relazioni extraconiugali con primedonne e mogli di musicisti – le biografie ufficiali hanno dedicato poco spazio alla sua accorta gestione della immagine di interprete. A partire dalla metà degli anni Venti, quando assunse la direzione della New York Philharmonic, Toscanini diradò le sue apparizioni come direttore ospite di altre orchestre, concentrandosi su pochissime compagini – e anticipò così un orientamento che molti direttori dei nostri giorni avrebbero adottato; il che contribuì a sottolineare l’unicità della sua figura, mentre tutti i più rinomati direttori internazionali, da Mengelberg a Furtwängler e Bruno Walter, accettavano senza riserve scritture presso le principali istituzioni europee e internazionali. Ancora più significativa la lungimiranza del maestro nell’uso dei mass media. Se la registrazione dei primi dischi a 78 giri – nel 1921 in America con l’Orchestra della Scala – lo aveva lasciato insoddisfatto sotto il profilo tecnico, nel corso degli anni Trenta Toscanini dimostrò quanto apprezzasse l’impiego della radio e del disco. La decisione, nel 1937, di dirigere l’orchestra di un organismo radiofonico, la Nbc, per lui appositamente creata, doveva tradursi in conseguenze di straordinario rilievo. Nei diciassette anni trascorsi alla guida della Nbc Symphony Orchestra Toscanini ebbe infatti modo di registrare quasi tutto il suo repertorio sinfonico, oltre a numerose opere in forma di concerto, e la sua fama si avvantaggiò di numerose riprese televisive. Quando smise di dirigere, nel 1954, era l’unico artista nato nell’Ottocento che avesse saputo preservare e tramandare ai posteri in modo significativo la propria arte interpretativa; l’ingente lascito delle registrazioni – in parte già messo in commercio dalla Rca su supporto a 78 giri – venne lanciato sul mercato discografico sfruttando la fiorente diffusione del nuovo microsolco. Il maestro trascorse gli ultimi anni, nella sua villa di Riverdale, proprio selezionando, col figlio Walter, i nastri delle prove e dei concerti da montare in vista della pubblicazione. Dunque, Toscanini è, per i posteri, essenzialmente l’artista conservato nelle registrazioni realizzate per la Nbc, il che porta a qualche riflessione sulla sua personalità di interprete, oggetto di non poche controversie. Aveva suonato come violoncellista di fila – l’ultima volta alla prima assoluta dell’Otello di Verdi nel 1887 – e la sua formazione era stata quella del maestro sostituto dei teatri d’opera. La conquista del repertorio sinfonico, in una Italia che ancora all’inizio del Novecento, non possedeva orchestre esclusivamente sinfoniche, certamente non fu semplice. Non a caso il suo gesto di direttore era diversissimo da quello della autorevole scuola austro-tedesca: un gesto sobrio, che impiegava prevalentemente la mano destra, con un movimento laterale quasi da cavata di violoncello, mentre la sinistra restava spesso immobile. Eccezionali erano però le capacità di concertazione, ossia la definizione dei dettagli durante le prove. La distanza dalla scuola interpretativa austro-tedesca, erede di un pensiero idealistico radicato nella lezione di compositori-direttori come Mendelssohn e Wagner, riguardava anche la concezione del suono: secco e nitido piuttosto che corposo, e delle scelte dei tempi, estremamente veloci. Di qui l’accusa frequente di «correre troppo» e di risultare inadeguato al compito di restituire i classici del repertorio sinfonico tedesco.

La sua scelta dei tempi. In realtà, il fatto di essere approdato a questo repertorio quasi da autodidatta consentì a Toscanini lo sviluppo di un pensiero interpretativo originale, non condizionato da una tradizione illustre ma per alcuni versi limitante. Se si ascolta la tarda registrazione del secondo movimento, lo «scherzo», della Nona Sinfonia di Beethoven si coglie, insieme all’impulso ritmico vitalissimo, l’assoluta trasparenza dell’orchestra, che lascia affiorare con nitidezza tutto l’intreccio delle voci strumentali e la finezza del fraseggio, consentendo all’energia propulsiva intrinseca a questo movimento di sprigionarsi come in poche altre interpretazioni. La scelta dei tempi rapidissimi è compensata, qui come altrove, dalla tessitura orchestrale trasparente. In questo rapporto tra tempi e spessore orchestrale Toscanini si trovò curiosamente ad anticipare le recenti scelte interpretative di una intera generazione di direttori-filologi, passati dalla prassi esecutiva della musica barocca al repertorio romantico. E non stupisce che alcuni di questi direttori, come Norrington e Minkowski, si siano espressi – nello stimolante volume di Mauro Balestrazzi Toscanini secondo me, edito recentemente da L’Epos – in termini non soltanto entusiastici ma anche concentrati nell’indicare la modernità della sua direzione. Toscanini fu però anche, e forse soprattutto, un direttore d’opera, almeno fino al 1928, quando lasciò la Scala. Le opere registrate in tarda età alla Nbc, con cantanti non sempre adeguati e in ambiente non teatrale, sono anch’esse testimonianze ammirevoli di un pensiero interpretativo per molti versi senza confronti. I cantanti vi figurano non come protagonisti, ma come semplici tasselli dell’opera ricondotta a un progetto globale sotto il ferreo controllo del direttore: leggendarie rimasero le prove estenuanti che Toscanini impose al baritono Giuseppe Valdengo per rifinire in ogni dettaglio il personaggio di Falstaff. C’è, in questi tardi documenti, una concezione del teatro musicale basato su vasti archi narrativi piuttosto che sull’avvicendamento di brevi pagine: è perciò che le letture di Toscanini appaiono direzionali, unitarie, senza momenti di stasi. Fin dai suoi anni giovanili, del resto, Toscanini impose un principio di fedeltà al testo, che limitava l’arbitrio dei cantanti, e rendeva non sempre facili i suoi rapporti con i grandi divi: celebre il dissidio, negli anni Venti, con Giacomo Lauri Volpi, che non avrebbe voluto rinunciare ai suoi acuti nel Rigoletto. Ancora oggi le registrazioni operistiche di Toscanini sono ascoltate con sospetto e irritazione dai melomani appassionati dell’arte del canto più che di teatro musicale.
Dischi parzialmente infedeli. Ma per rendere fino in fondo giustizia al lascito di questo grande maestro bisogna anche osservare come le qualità che avevano consentito a Toscanini di imporsi a livello internazionale difficilmente si possono ritrovare rispecchiate fino in fondo nei dischi della vecchiaia. L’inizio della collaborazione con la Nbc risale, infatti, a quando il direttore aveva compiuto settant’anni, e molte registrazioni vennero realizzate quando aveva già varcato gli ottanta. Rispetto ai documenti ufficiali, le registrazioni radiofoniche delle recite di alcune opere eseguite al Festival di Salisburgo nel 1937 – Falstaff, Maestri cantori, Flauto magico – lasciano, nonostante la qualità sonora precaria, l’idea di un direttore più duttile, più attento al colore del suono – come nel secondo atto dei Meistersinger, dove gli archi della Filarmonica di Vienna sottolineano mirabilmente i colori della notte primaverile – e molto attento alle esigenze dei cantanti. Questo per dire che, con quell’autentico monumento massemediatico costituito dal lascito delle registrazioni ufficiali, Toscanini ci ha consegnato, paradossalmente, un testamento artistico in cui si sono insinuati profondi interrogativi sulla sua fisionomia di direttore, destinati a rimanere insoluti.

Appuntamenti a partire da stasera
Innumerevoli le iniziative per ricordare Toscanini. Due i principali concerti celebrativi. A Milano Daniel Barenboim sul podio della Filarmonica della Scala offre l’«Eroica» di Beethoven alla cittadinanza, in una serata gratuita; a Parma Kazushi Ono è invece sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini. Perfino la RaiTv dedica al direttore la giornata di oggi, con alcuni appuntamenti su Raiuno, che culmineranno in una puntata di «Porta a porta» e in una di «Sottovoce»: è una occasione inconsueta per la musica colta, pur filtrata da un contenitore nazional-popolare. Ovviamente, Radiotre partecipa alla giornata Toscanini, proponendo fra l’altro alle 19 la diretta del concerto scaligero e alle 21,30 la differita di un concerto diretto da Gianluigi Gelmetti. Ma a Toscanini sono dedicate iniziative in molti altri paesi. A New York sarà Lorin Maazel – che a undici anni diresse di fronte al maestro – a riunire questa sera in un concerto simbolico la New York Philharmonic (diretta da Toscanini per un decennio) e la Symphonica Toscanini, l’orchestra italiana di Maazel che terrà anche molti concerti nel nostro paese, incluso un ciclo beethoveniano a Roma. Sarà ancora Daniel Barenboim, in novembre, a chiudere le celebrazioni proponendo, a Milano e Parma, la Messa da Requiem di Verdi, con la Filarmonica della Scala.

4 Comments

  1. hahaha, Brown Wasp!! :-D

    Sì, lui deve dire la sua, e preferisco che la dica su Toscanini piuttosto che assillarci con il delitto di Erba, per dirne una. Però lo trovo un avvolotoio insopportabile.

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