Innovation Management: un’occhiata alla nuova ISO

Nel gennaio 2025 è stata pubblicata una nuova versione ISO 56000 sulla gestione dell’innovazione o, meglio, della prima parte della serie ovvero quella dedicata alla definizione dei concetti chiave e alla terminologia. Questa ISO è una norma relativamente giovane, la cui versione precedente risaleva al 2020, e che fa da preambolo e contestualizzazione per altre […]

Nel gennaio 2025 è stata pubblicata una nuova versione ISO 56000 sulla gestione dell’innovazione o, meglio, della prima parte della serie ovvero quella dedicata alla definizione dei concetti chiave e alla terminologia. Questa ISO è una norma relativamente giovane, la cui versione precedente risaleva al 2020, e che fa da preambolo e contestualizzazione per altre quattro nome nella serie:

  • ISO 56001:2024: Innovation management system — Requirements;
  • ISO 56002:2019: Innovation management system — Guidance;
  • ISO 56003:2019: Tools and methods for innovation partnership;
  • ISO 56004:2019: Innovation management assessment;
  • ISO 56007:2023: Tools and methods for managing opportunities and ideas.

Sì, anche in ISO accade come in UNI o come per la metropolitana di Milano: ogni tanto un capitolo va per funghi, rimane indietro, e viene pubblicato solo dopo il successivo.

L’intera serie è uno strumento fondamentale per il BIM manager che non deve chiedere mai “ma io cosa sto facendo?”, sono una grande fan dei suoi contenuti e del suo approccio metodologico anziché prescrittivo. Ma cosa contiene quindi, cosa cambia in questa nuova versione e cosa ci raccontano queste modifiche?

Diamo un’occhiata.


2020 vs. 2025: le differenze

Struttura generale dell’indice

Entrambe le versioni della norma hanno una struttura simile, articolata nei seguenti capitoli principali:

  • Scope;
  • Normative references;
  • Terms and definitions;
  • Fundamental concepts and innovation management principles;
  • Annexe e Bibliography.

E questa è la buona notizia.
Tuttavia, ci sono alcune differenze chiave che emergono dal confronto tra i due testi. E non sono necessariamente una cattiva notizia.

Vediamo quali.

New Entry: l’Antifragilità

La versione 2025 introduce anche, per la gioia di molti, il concetto di antifragilità, assente nella versione del 2020. Se non vi ricordate cosa si intenda per antifragilità, provate a spulciare il tag sul blog oppure a questo post introduttivo.

Ecco come viene definito il termine nella norma:

3.2.14. antifragile: ability to gain from stressors, uncertainty (3.2.12) and risk (3.2.13)
Note 1 to entry: Stressors can be shocks, failures, disruptions, emergencies, crises, etc.
Note 2 to entry: An antifragile entity (3.2.11) can thrive and/or evolve from unexpected stressors, take advantage of uncertainty and positively assume risk.

 

Collaborazione ed Ecosistemi di Innovazione

Per capire come mai sia stato introdotto il concetto di antifragilità, viriamo un attimo su un’altra nuova definizione, quella di “innovation ecosystem” (3.1.3.4), un’altra novità della versione 2025. L’ecosistema di innovazione è identificato in un sistema di persone oppure di organizzazioni interdipendenti che sviluppano o consentono l’innovazione in modo collaborativo. Questo gruppo può includere organizzazioni pubbliche e private. L’ambito di un ecosistema dell’innovazione può essere definito in termini di piattaforma, insieme di tecnologie, area di conoscenza, insieme di competenze, settore, comunità o area geografica. Può essere un gruppo di partecipanti riunitosi in modo arbitrario oppure una comunità organizzata e diretta, componente più voci e che collabora sulla base di partnership.

La versione 2020 menzionava gli ecosistemi di innovazione nel contesto delle reti di valore e delle collaborazioni tra organizzazioni, ma senza una definizione strutturata. Si faceva riferimento alla collaborazione con partner esterni, ma senza specificare l’idea di ecosistema come un’entità organizzata e sistematica, probabilmente demandando alla ISO 56003: 2019 il compito di articolare e declinare i concetti nell’ambito della partnership. L’introduzione dell’ecosistema di innovazione anche nella parte introduttiva della serie sembra indicare una maturata consapevolezza che non ci possa essere innovazione senza collaborazione, e che ogni innovazione si muova nellì’ambito di un sistema complesso. La norma del 2025 distingue quindi chiaramente l’ecosistema di innovazione da altri sistemi e lo collega esplicitamente a concetti come le reti di valore e i partenariati collaborativi.

La collaborazione è fondamentale per il successo.

Questa tendenza è avvalorata dall’espansione di altri concetti, strettamente legati all’ecosistema di innovazione, tra cui quello di “Open Innovation”.

Il concetto di open innovation era già presente nel 2020, ma decisamente meno dettagliato, mentre il termine “innovation partnership” veniva utilizzato per descrivere sforzi collaborativi tra più organizzazioni, ma senza un quadro sistematico. L’innovazione aperta si aggiunge ora alle modalità tramite le quali si può fare innovazione, insieme all’innovazione interna e all’innovazione collaborativa (sezione 4.2.2.3 Attributes describing how it is innovated, che purtroppo usa le parentesi tonde dentro ad altre parentesi tonde e mi sento male). Ricopre anche un ruolo esplicito nell’esecuzione dei processi di innovazione, forse nel disperato tentativo di evitare che le aziende reinventino ogni volta l’acqua calda pur di essere innovative, senza guardarsi intorno e cercare di capire se là fuori esistano già porzioni di soluzioni.

Nell’ambito della collaborazione, quindi, si inserisce l’espansione di un altro importante concetto, ovvero quello di “Innovation Partnership”, cui in Italia qualcuno si riferisce come “Partenariato per l’innovazione”, che non è esattamente la stessa cosa…

“Una partnership per l’innovazione può comportare l’istituzione di obiettivi congiunti di innovazione, strategie, ruoli, strutture e processi di supporto, inclusa la condivisione di risorse come finanziamenti, conoscenze e persone.”

L’innovazione collaborativa quindi veniva citata, anche nel 2020, ma senza una struttura chiara che la distinguesse dagli altri tipi di innovazione. Ora trova posto in un framework che spinge sempre di più verso concetti come questo. La gestione dell’innovazione è ora trattata come un fenomeno sistemico, con una chiara distinzione tra innovazione interna ed esterna, e la collaborazione con altre entità fa parte della rete di valore generata dall’innovazione.

Questo approccio, quindi, enfatizza alcuni aspetti chiave:

  • l’interdipendenza: le organizzazioni o gli individui coinvolti non operano in modo isolato, ma si influenzano a vicenda e traggono vantaggio dalle reciproche competenze e risorse;
  • la collaborazione e il coordinamento: gli attori possono operare in modo formale o informale, attraverso partenariati, alleanze strategiche o network aperti;
  • lo sviluppo e l’abilitazione dell’innovazione: l’ecosistema non si limita solo a creare innovazione, ma anche a fornire le condizioni e il supporto affinché l’innovazione possa emergere e diffondersi.

Quando si parla di ecosistemi di innovazione, si immagina spesso una rete di aziende e istituzioni che collaborano, ma il concetto è molto più ricco e sfaccettato, quindi. Un vero ecosistema innovativo funziona come un organismo vivente (anche se più spesso si tratta di un gruppo di aziende che sta cercando di ritornare in vita combinando tra loro le uniche parti ancora funzionanti, ma questa è un’altra storia). Ogni componente dell’ecosistema dovrebbe giocare un ruolo cruciale, richiedendo quindi grande attenzione alle modalità di interazione tra gli attori e alla loro capacità di reazione ai cambiamenti (da cui la necessità di introdurre il concetto di antifragilità).

Collaborano con calma, dignità e classe.

Un ecosistema di innovazione, per rendere tutto più interessante, non è tale se si basa su una sola tipologia di attore: è la diversità a renderlo fertile e dinamico, facendo convivere realtà come:

  • grandi aziende che possono mettere a disposizione risorse e infrastrutture;
  • startup e PMI, più agili laddove si tratta di testare idee e soluzioni, al contrario delle grandi aziende in cui l’introduzione del cambiamento può essere molto lenta;
  • università e centri di ricerca, che ad esempio possono analizzare i dati a supporto delle soluzioni che stanno venendo sviluppate;
  • istituzioni governative, che regolano e incentivano lo sviluppo;
  • investitori e fondi di venture capital, che scommettono sulle idee più promettenti (o su quelle meno rischiose);
  • utenti finali, che con i loro feedback indirizzano l’evoluzione delle innovazioni.

Un esempio classico che viene portato come ecosistema di innovazione è Silicon Valley, che non avrebbe mai potuto fiorire senza la combinazione di università all’avanguardia come Stanford, aziende tech consolidate (Google, Apple), startup rivoluzionarie e investitori con capitali pronti a essere impiegati.

Un elemento che distingue un ecosistema di innovazione da una semplice collaborazione tra aziende, è la co-creazione, da cui la necessità di definire meglio principi come quello della proprietà intellettuale, che nella versione del 2025 della norma riceve rinnovata attenzione. La co-creazione può assumere diverse forme e passare per diverse modalità, dalla condivisione di risorse alla sperimentazione congiunta, introducendo quindi un importante cambio di paradigma potenziale: chi partecipa alla sperimentazione e alla fase di test è comunque da considerare parte attrice nello sviluppo dell’innovazione.

L’ecosistema è quella cosa che non dovete turbare provocando la morte della democrazia per salire al trono con le vostre iene. Almeno lui si esprimeva con estrema proprietà di linguaggio.

Altre novità nella gestione: sfruttare le intuizioni e gestire l’incertezza

Nella ISO 56000:2025, due concetti chiave emergono con maggiore enfasi rispetto alla versione precedente: exploiting insights (sfruttare le intuizioni) e managing uncertainty (gestire l’incertezza), perfettamente in linea con l’attenzione generale alla gestione del rischio in sede ISO. I due principi sono cruciali per garantire che le attività di innovazione siano informate, strategiche e resilienti (o, meglio, antifragili) di fronte a cambiamenti imprevisti.

Innovare implica sempre che accada qualcosa di… inaspettato.

Exploiting Insights

Il principio di sfruttare le intuizioni riguarda il modo in cui un’organizzazione può raccogliere, analizzare e utilizzare informazioni pertinenti per guidare l’innovazione.

“Una gamma diversificata di fonti interne ed esterne viene utilizzata per costruire sistematicamente conoscenze approfondite e per sfruttare bisogni dichiarati e non dichiarati.”​

L’idea di base è che le migliori innovazioni non nascano dal nulla, ma dall’identificazione di bisogni latenti o emergenti, e per questo sia essenziale un approccio sistematico per raccogliere informazioni provenienti da una varietà di fonti, inclusi clienti, mercato, ricerche scientifiche e dati aziendali. Un aspetto particolarmente rilevante della nuova versione della norma è che l’uso delle intuizioni non è solo passivo, ma proattivo: non si tratta solo di analizzare il passato, ma anche di utilizzare l’individuazione delle tendenze per effettuare proiezioni per il futuro, con una rinnovata attenzione all’analisi dati.

La norma suggerisce alcune azioni pratiche per sfruttare al meglio le intuizioni:

  • coinvolgere attivamente utenti, clienti e altre parti interessate per raccogliere informazioni chiave;
  • rendere le intuizioni accessibili a tutte le persone rilevanti all’interno dell’organizzazione;
  • migliorare le competenze nell’analisi delle informazioni, per trasformare i dati in valore pratico​.

Partecipazione, trasparenza e miglioramento continuo, quindi. Concetti che dovrebbero suonare familiari.

Managing Uncertainty

Anche il principio di gestione dell’incertezza assume un ruolo centrale nella ISO 56000:2025, in un’epoca in cui i cambiamenti tecnologici e di mercato sono sempre più rapidi e imprevedibili.

“Le incertezze e i rischi vengono valutati, sfruttati e poi gestiti, apprendendo da sperimentazioni sistematiche e processi iterativi, all’interno di un portafoglio di opportunità.”​

L’incertezza è intrinseca a qualsiasi processo di innovazione. La norma sottolinea come non sia possibile eliminarla del tutto, ma sia possibile gestirla attraverso un approccio sperimentale e una gestione basata su portafogli di opportunità.

Due aspetti fondamentali sono quelli che emergono:

  • sperimentazione sistematica: testare e imparare rapidamente è la chiave per ridurre l’incertezza nel tempo (un principio che abbiamo già visto parlando di antifragilità nell’ambito dell’innovazione tecnologica);
  • diversificazione: non bisogna investire tutto su un’unica innovazione, ma diversificare le iniziative per bilanciare rischi e opportunità.

Per applicare concretamente questi principii, la norma suggerisce di:

  1. sviluppare processi per gestire l’incertezza attraverso analisi di scenario e previsione dei trend futuri;
  2. coltivare una cultura aziendale che accetti il fallimento e l’adattabilità (principi che abbiamo già visto parlando di DevOps e cultura aziendale);
  3. implementare sistemi per monitorare e misurare il livello di rischio associato alle diverse iniziative di innovazione.
3 tipologie di cultura aziendale

Relazione con la ISO 56001

La versione 2025 dichiara esplicitamente un allineamento con la norma ISO 56001 (che fornisce requisiti per un sistema di gestione dell’innovazione), un aspetto non presente nella versione 2020. Senza entrare nel merito della 56001, questo rappresenta un passo importante nella standardizzazione della gestione dell’innovazione, fornendo un quadro più coerente per le organizzazioni che vogliono implementare pratiche strutturate di innovazione.

Nella ISO 56000: 2020, in pratica, la norma forniva una base concettuale e terminologica per la gestione dell’innovazione, ma non esisteva ancora un riferimento chiaro a una norma specifica che stabilisse requisiti per l’implementazione di un sistema di gestione dell’innovazione. Questo significava che le aziende potevano adottare i principi della ISO 56000, ma senza una guida chiara su come tradurli in un sistema di gestione certificabile. Meno soldi per alcune tipologie di figuri, quindi.

Con l’introduzione della ISO 56001, la nuova versione della ISO 56000 ne riconosce l’importanza e ne specifica la relazione:

“ISO 56001 provides requirements for organizations to establish, implement, maintain and continually improve an innovation management system.”​

La ISO 56001 si propone come una norma certificabile, che fornisce requisiti chiari e verificabili per implementare un sistema di gestione dell’innovazione (IMS – Innovation Management System). Il suo obiettivo è rendere più efficace il modo in cui le organizzazioni pianificano, sviluppano e implementano l’innovazione, garantendo continuità, misurabilità e miglioramento continuo.

Ora, che fate? Correte tutti a farvi mettere il bollino in fronte? Il mio consiglio sarebbe quello di assorbire i buoni principi della norma e provare a metterli in pratica, prima. Ma, si sa, i miei consigli in merito sono impopolari.

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