Festival del Cinema di Torino

Pur apprezzando in una certa qual misura l’opera di Nanni Moretti (che ha realizzato gigantesce vaccate in vita sua, non solo sul grande schermo, ma anche piccoli e grandi pezzi di genio), non posso non rincrescermi per questa mossa e per il modo in cui è stata portata avanti. Sperando che Moretti non snaturi il […]



Pur apprezzando in una certa qual misura l’opera di Nanni Moretti (che ha realizzato gigantesce vaccate in vita sua, non solo sul grande schermo, ma anche piccoli e grandi pezzi di genio), non posso non rincrescermi per questa mossa e per il modo in cui è stata portata avanti. Sperando che Moretti non snaturi il festival tentando di trasformare Torino in una nuova Cannes. Articoli dal Manifesto di ieri e di oggi per chi vuole (ri)farsi una cultura in merito.

Torino film festival: il direttore è Moretti, il committente la politica – Cristina Piccino
Roma Gianni Rondolino, presidente del Torino film festival, lo ha saputo a cose fatte, come si dice, alle 14.00 di ieri pomeriggio mentre da Roma, dove era per il Natale in famiglia, stava preparandosi a tornare a Torino e a affrontare le battaglie in corso sul festival. E così i direttori della manifestazione, Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto. Eppure non è che non li riguardi, anzi. Si parla infatti del nuovo direttore del «festival cinematografico torinese», e il nome è quello di Nanni Moretti, il regista italiano tra i più noti oggi nel mondo, oltretutto da sempre amico del festival, lo avevamo visto anche nei giorni dell’ultima edizione girare da «spettatore» nelle diverse sale. A annunciarlo – Moretti non c’era, debuttava ieri sera a Roma nel monologo sulla lavorazione di Caro diario – sono il direttore del Museo del cinema Alberto Barbera e gli assessori alla cultura di comune, provincia e regione. Ma un momento: di quale festival stiamo parlando? Del Torino film festival che nel 2007 dovrebbe festeggiare il 25o anno d’età, o del «festival cinematografico torinese»? Già perché le cose non sono così ovvie, e la nomina di Nanni Moretti è l’ultimo capitolo di uno scontro che è andato avanti per settimane e, in realtà, non è ancora chiuso. Protagonisti ne sono l’Associazione cinema giovani, responsabile del Torino film festival dalla nascita e che ne detiene il marchio (da cui la necessità di un altro nome) da una parte, e dall’altra lo stesso Barbera come Museo del cinema, Stefano Della Casa, presidente della Film commmission Piemonte (entrambi alla direzione del festival in anni passati), gli assessori alla cultura di comune (Fiorenzo Alfieri), provincia (Valter Giuliano), regione (Gianni Oliva) Quest’ultimo (ds) particolarmente accanito, la cui filosofia si esprime in una dichiarazione che riassume anche il succo dello scontro in atto: «la linea della regione è proporre progetti di qualità che non coinvolgano nicchie o elites ma grandi numeri di persone» (la Stampa, edizione Torino, 12/12). Insomma l’identità del festival, e il modello politico culturale veltroniano, la sirena della festa del cinema, sale vuote, qualità scarsa ma molti media, la sola cosa che conta. Roba che manco lo spoil-system berlusconiano più accanito. E il controllo politico diretto, del genere siamo noi a dare i soldi dunque abbiamo diritto di avere voce in capitolo. Suona così la proposta di un «comitato d’indirizzo» da parte dei tre assessori che avrebbe dovuto nominare il nuovo direttore del film festival – Turigliatto e D’Agnolo Vallan sono infatti in scadenza – e decidere le linee programmatiche formata da due rappresentanti del museo, due dell’Associazione cinema giovani, e uno designato dagli stessi assessori. Ma d’altra parte: se Veltroni (e tutta la vicenda sembra l’ennesimo frammento nel rispecchiamento Veltroni/Chiamparino, il sindaco di Torino, sulla cultura) si affanna a nominare un senatore della repubblica, Goffredo Bettini, a capo della fondazione neonata sul cinema della festa romana, perché non possono fare lo stesso gli assessori torinesi? «Abbiamo detto subito di no, la cosa andava contro lo statuto del festival, e soprattutto suonava come una pesante ingerenza nella nostra libertà artistica» dice Gianni Rondolino. E aggiunge: «purtroppo abbiamo capito tardi la manovra d’accerchiamento che si stava preparando, secondo la quale io sarei stato nominato presidente onorario e Barbera sarebbe divenuto presidente del festival. Ma io non ci stavo, il mio mandato scade tra due anni, sono stato eletto dai soci dell’Associazione e se non andavo più bene dovevano essere loro a sfiduciarmi». Ecco che allora Rondolino, prima delle premiazioni, a chiusura dell’edizione 2006, convoca a sorpresa una conferenza stampa in cui ribadisce il suo appoggio ai direttori uscenti e l’autonomia assoluta della manifestazione. Un grido d’allarme, e alla luce degli avvenimenti successivi, la conferma che qualcosa sta accadendo, o forse è già accaduto. Dopo una serie di «tiramolla e riunioni spiacevoli» come le chiama Rondolino, arriviamo alla proposta di una commissione che riunisce i due attuali direttori e i due ex, Della Casa e Barbera, per decidere le modifiche del festival. Poi, come se niente fosse, la lettera dei tre assessori di cui sopra, con la richiesta appunto del «comitato d’indirizzo». «Abbiamo convocato un direttivo dell’Associazione, ho chiesto che la quinta persona non fosse un rappresentante politico, ma uno sopra le parti tipo un magistrato. Barbera ha proposto una mozione di rifiuto. L’hanno votata in cinque (Barbera, Della Casa, Valerio Castronovo, Davide Bracco, Paolo Manera), la maggioranza l’ha respinta, così lui e gli altri si sono dimessi. Fino a oggi eravamo rimasti lì». Ci sono anche dice ancora Ronndolino, problemi formali, la convenzione tra museo e associazione è valida fino al 2007 e la rottura deve essere fatta un anno prima. «Aspetto una comunicazione ufficiale. A quel punto faremo il nostro festival comunque». «Mi pesa molto quanto è accaduto, ma non si poteva fare altro» dice Alberto Barbera. «Rondolino non ha mai accettato alcuna discussione sul festival, e se ho fatto questo è non contro ma nell’interesse del festival stesso. Non si poteva andare avanti come vent’anni fa, è necessario lavorare sulla contemporaneità, trovare strade diverse perché non si finisca in un cono d’ombra come è accaduto a altre manifestazioni importanti. Inoltre la festa del cinema di Roma ha rimesso tutto in discussione, ha avuto una copertura mediatica incredibile, e impone di rivedere le cose». Cosa vuol dire allora «lavorare sulla contemporaneità»? Avere più stampa e tv, come lascia intuire la posizione dell’assessore Oliva, o altro? «Sono piani distinti – risponde Barbera – Di fondo c’è la necessità di rilanciare il festival a livello internazionale. La scommessa è che sia un laboratorio permanente, con un lavoro anche produttivo sul cinema indipendente che lo riporti a scoprire autori. C’è una logica possibile di un sistema regionale con fondi che vuole investire sull’audiovisivo, perché rifiutarla?». A parte che «a livello internazionale» il festival è molto apprezzato dalla stampa, è chiaro che la questione non è solo torinese ma investe la politica culturale del centrosinistra. Cosa vuol dire cultura, è solo qualcosa di digeribile, non fastidioso, omogeneo (come la riconferma a Roma di Giorgio Albertazzi alla direzione dell’Argentina). Se Francesco Rutelli, ministro della cultura che permette lo sfascio del centro sperimentale lasciandovi alla guida Francesco Alberoni può fare gli auguri a Nanni Moretti, fingendo che non vi sia frattura, lui, Moretti, è informato su tutto? «Secondo me lo hanno manipolato» dice Rondolino. E il sospetto è lecito leggendo la dichiarazione sulla nomina (parafrasata dallo stesso Rondolino nella sua ): «spero di contribuire al rafforzamento del festival che non può che partire dal rilancio della sua identità più autentica», offrendo ai direttori uscenti la proposta di condividere l’impegno. Ci piacerebbe svegliarci scoprendo che ha cambiato idea.

Nanni, salta la scocca – Roberto Silvestri
Un altro pasticcio culturale è stato combinato dal centro-sinistra. A Torino. Un secondo ingorgo mortale (dopo l’accavallamento esiziale tra Venezia e Roma) che può risucchiare nella melma perfino Nanni Moretti. Da cui tutti, tranne l’esultante ministro per i beni culturali Rutelli e La Repubblica, il più disinteressato al cinema vivente tra i «quotidiani prestigiosi», si attendono ora che faccia almeno qualcosa di sinistra. Che si sganci, il regista autarchico (come ha fatto con la Festa di Roma, prevedendo il fiasco di una sagra sponsor-popolare a sale vuote) da chi, terrorizzato dall’autonomia «a mille piani» della cultura critica, vuol renderla omogenea, docile, controllabile e strumentalizzabile mediaticamente. Nanni Moretti (che è anche esercente, distributore, organizzatore di festival) avrebbe infatti accettato ieri, incautamente, la nomina (formalmente scorretta), a direttore artistico di un nuovo festival di Torino, budget previsto 3 milioni di euro. Nomina imposta, in spregio a convenzioni firmate, dal Museo del cinema (direttore Barbera), dalla Film Commission Piemonte (direttore Della Casa) e dei tre assessori alla cultura locali (deprimenti, in altre nomine artistiche). Forse Moretti non vale ancora gli 11 milioni di euro del Cairo, Dubai o Roma, ma ne ha uno in più rispetto al finanziamento del pre-esistente Torino Film Festival, di cui gli enti locali e culturali piemontesi ieri, con gesto autolesionista, hanno decretato la condanna a morte. Infatti l’Associazione Torino Cinema Giovani (garanti personalità della cultura come Rondolino, Vattimo, Gorlier, Ventavoli e Vallero) che lo gestiscono non accettano di sottostare ad alcuna forma di controllo teorica o ideativa da parte dei politici. Un principio basilare di autonomia che le democrazie occidentali salvaguardano, che Barbera e Della Casa (ex direttori di Torino) hanno dimenticato e che l’ex ministro dei beni culturali Veltroni non seppe tradurre in egemonia, quando, pretendendo che i ministri nominassero-controllassero le grandi istituzioni culturali, le distruggeva o condannava a una vacillante navigazione, peggio se bipartisan. Da cui questa «forzatura Moretti». Peccato, il festival internazionale di Torino, diretto con spregiudicata perizia da Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto, forma, con la Mostra di Venezia di Muller e Pordenone, la nostra triade gloriosa, di livello mondiale. Così l’Associazione ha già annunciato la data dell’edizione 25, rinnovando l’incarico ai direttori, continuando a valorizzare e diffondere il cinema più estremo e innovativo, di oggi e di ieri, andando a uno scontro di tipo «Slamdance contro Sundance», a chi è più indipendente e talent scout. Moretti è bravo e si è sempre battuto per un cinema impertinente. Ha tutte le carte in regola per dirigere una grande manifestazione. Ma non può essere strumentalizzato da quel centro-sinistra che fu proprio lui a richiamare alla limpidezza etica (nella lotta e nel governo). Un secolo fa, quando il cinema italiano primeggiava, per la prima e penultima volta, nel mondo, Torino ne era il cuore pulsante. L’industria e l’arte facevano il loro lavoro, costruivano prototipi, reali e immaginari, erano il mondo a venire, che il politico avveduto stimolava, leggeva e mai «controllava», pena la cecità nei suoi stessi movimenti.Quel nostro cinema colossale e esotico, sintesi di ricerca e sperimentazione, fu una fabbrica dei sogni avanzata perché aveva alle spalle Zanardelli. Poi arrivarono i Crispi famelici e «imperialisti».

Siamo già a lavoro per la 25a edizione – Gianni Rondolino*
«Un secondo festival a Torino? Una buona notizia per la città, auguri a Moretti. Noi siamo già al lavoro per la 25a edizione del Torino film festival». Abbiamo appreso dalle agenzie di stampa che gli assessori alla Cultura della Regione Piemonte, del Comune e della Provincia di Torino hanno annunciato la nascita di un nuovo festival cinematografico torinese diretto da Nanni Moretti. Si tratta di una buona notizia per il cinema e per la città: il moltiplicarsi delle iniziative a sostegno dell’arte cinematografica è senz’altro un segno di grande vitalità. Agli assessori alla Cultura della Regione Piemonte, del Comune e della Provincia di Torino e al neodirettore Nanni Moretti vanno dunque i più calorosi e amichevoli auguri di successo per la nuova manifestazione. Dal canto suo il Torino film festival, sulla base della convenzione con il Museo Nazionale del Cinema, è al lavoro per preparare la 25a edizione della rassegna, le cui date sono già state definite nel corso di un incontro con i presidenti della Biennale di Venezia e della Festa del Cinema di Roma. L’edizione del Giubileo si preannuncia fin d’ora per il Torino film festival un’occasione preziosa per il necessario rafforzamento della manifestazione, a partire dal rilancio della sua identità più autentica e dal rinnovo della sua formula.

*Presidente dell’associazione Cinema giovani titolare del marchio Torino film festival


Torino film festival, politica o immaginari? Cristina Piccino
Roma – Walter Veltroni è raggiante, come il suo «corrispettivo», il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, e Mercedes Bresso, presidente della regione Piemonte, tutti unanimi (e senza rivalità) nell’affermare che «una figura di fama internazionale come Nanni Moretti può aiutare a far crescere il festival del cinema di Torino anche nel quadro competitivo che si è aperto in Italia, nel settore cinematografico, con la manifestazione organizzata a Roma». Felice pure il regista torinese Mimmo Calopresti, scoperta del festival, che proprio Nanni Moretti fece debuttare nel lungometraggio con La seconda volta: «Nanni Moretti corona un piccolo sogno. Quel festival lo ha sempre amato, sono sicuro che farà di Torino un grande cinema Sacher». Soddisfatti anche Alberto Barbera, direttore del Museo del cinema di Torino e principale artefice della nomina di Moretti, e Stefano Della Casa, presidente della Film commission Piemonte: la «ricetta» Moretti ha funzionato subito, e quell’esposizione mediatica modello festa-del-cinema-romana tanto agognata da entrambi l’hanno, almeno ieri, conquistata anche loro. Ma è davvero questo, e non il cinema, la qualità, il divertimento, la costruzione di immaginari e di modelli culturali non omogenei e imprevedibili, le sale piene la sola cosa che conta? Faceva un po’ impressione leggere nei servizi sulla nomina di Moretti, a firma anche di critici esigenti, una generale esultanza sul fatto che finalmente il festival torinese potrà essere come Roma, fare soldi, diventare macchina promozionale per industrie varie, turismo in testa, collezionare passerelle di stelle (un improvviso attacco di nostalgia per le settimane Incom del Luce?). Usando inoltre al meglio la Film commission per produrre tanto cinema italiano di quello «che va». Dove poi visti gli esiti in sala e sui mercati internazionali non è dato saperlo. Basti pensare ai «big» della festa romana, Tornatore, Virzì, Andò (e giustamente) non hanno fatto molta strada. Finalmente però – come ha dichiarato lo stesso Della Casa – non ci saranno più i film di Tonino De Bernardi, uno dei nostri cineasti indipendenti più invitati nel mondo, il festival di Rotterdam lo ha come ospite fisso, strano perché poi Barbera è tra i festival che cita come riferimento, e lui quando era a Venezia a dirigere la Mostra lo ha invitato in gara (con Appassionate). Ma i tempi cambiano dice la canzone. La cosa assurda è che tutte le persone coivolte, Della Casa, Barbera, Turigliatto, Rondolino, D’Agnolo Vallan il festival se lo sono inventato insieme, lo hanno fatto forte negli anni di complicità e amicizia, proprio grazie alla diversità dei loro sguardi. L’unicità infatti è un poco debolezza, e forse l’idea suggerita da Calopresti che Torino diventi un cinema Sacher non è proprio così eccitante. Resta dunque da risolvere la frattura con Gianni Rondolino. Le istituzioni torinese sperano di ricomporre: «È assurdo pensare a due manifestazioni cinematografiche in città» ha detto Chiamparino. Già perché il presidente dell’Associazione cinema giovani, che per 24 anni ha organizzato il Torino film festival e ne detiene il marchio, non si arrende. Ed è deciso a fare il «suo» festival anche senza i due milioni e mezzo di euro di regione, provincia, comune. Potrebbe essere una bella scommessa, e un esperimento forte (le date 24 novembre-2 dicembre sarebbero le stesse). Pure se nella stessa Associazione si aprono le prime crepe. Giovanni Zanetti, che ne è parte, suggeriva ieri una mediazione. Spingendosi oltre: «A Torino ci sono troppi festival, ce ne vorrebbe uno aperto alle diverse problematiche, gay, donne, ambiente». Ecco che il terribile spettro del Festival dell’Adriatico (lì a essere coinvolto fu Marco Bellocchio) torna. Se lo inventò Veltroni, fu un fiasco clamoroso. Resta comunque il fatto che nonostante la maggioranza della stampa abbia sorvolato, Nanni Moretti non è, almeno per ora, il direttore Torino film festival. Non si tratta di cavilli o di staff – quello morettiano verrà annunciato a gennaio, si parla di Emanuela Martini e, prevediamo, Paolo Manera, tra i 5 usciti dall’Associazione cinema giovani. Il problema è legale, il marchio, appunto, e gli accordi presi sull’edizione 2007 che non possono essere scissi così, pure se la politica può arrogarsene il diritto. Moretti da parte sua, promettere un festival «serio e allegro», dice che vuole potenziare la presenza del cinema italiano ma su tutto il resto tace.

Non scimmiottare i «grandi» festival – Gianni Vattimo
Se Nanni Moretti confermerà, come è probabile, di aver accettato la nomina a direttore del prossimo festival del cinema di Torino non potremo che rallegrarci – anche noi vecchi ruderi dell’Associazione Cinema Giovani che 25 anni fa fondammo il Festival omonimo, e che lo abbiamo condotto, attraverso varie vicende e con misure diverse di impegno personale, fino a oggi. Moretti ha accettato la proposta di Alberto Barbera, come leggiamo sui giornali, anche e soprattutto perché è stato sempre un estimatore di questo festival, arrivando addirittura a giudicarlo superiore e meglio riuscito di quello di Venezia. Dobbiamo credere che questa simpatia non sia venuta meno all’improvviso e che dunque Moretti sia deciso a improntare la sua direzione alle stesse linee di quello che è stato il Festival fino a oggi. Un proposito che noi della Associazione non possiamo che condividere. Ma allora dove sta l’oggetto del contendere? Noi siamo convinti che la vitalità del festival sia stata assicurata fino ad oggi anche dal suo assetto istituzionale: lo promuoveva una associazione privata costituita in origine da persone di cultura interessate al cinema, senza scopo di lucro né finanziario né politico. Gli enti locali hanno fatto bene il loro dovere, dapprima nell’incoraggiare la fondazione del festival, e poi assicurandosi che l’associazione disponesse delle competenze necessarie e garantisse anche quel disinteresse privato che giustifica l’intervento pubblico. Insomma era un’impresa di cultura che legittimamente rivendicava il riconoscimento degli enti locali. Il «rinnovamento» di cui oggi si parla, richiesto dagli enti pubblici finanziatori nelle persone degli assessori a Comune, Regione e Provincia, ha davvero motivazioni fondate? La proposta degli assessori non si limita alla nomina di Moretti a direttore (su cui credo siano tutti d’accordo, a parte il modo alquanto irrituale in cui è avvenuta). Chiede (anzi impone, giacché alla controproposta di un comitato leggermente diverso incaricato di rivedere la convenzione istitutiva gli assessori non hanno ancora risposto) semplicemente che si crei un comitato direttivo in cui gli enti pubblici finanziatori avrebbero più peso. Se, superata per ora la questione urgente della nomina del direttore, consideriamo questa proposta per quello che è, una proposta di mutamento istituzionale, non è difficile pensare che la contesa si possa sanare, per il bene del festival e in genere della cultura cittadina. Molti di noi sarebbero ben contenti di fare di questa contesa un casus belli – figuriamoci se non ci sono motivi per respingere l’ingerenza, assai poco «umanitaria», dei politici nelle iniziative culturali Però spingere oltre il conflitto non ha senso: intanto perché pochi cittadini elettori (e contribuenti) ne capiscono le ragioni; poi perché il risultato non potrebbe essere che un danno all’immagine e anche allo svolgimento del festival, che è un «bene» culturale non da poco per la città. Altre istituzioni culturali torinesi e piemontesi hanno statuti e regole di funzionamento che possono valere da modello anche per la costruenda nuova struttura del festival, Nanni Moretti, se come speriamo prenderà sul serio il suo compito di direttore, può fare molto per aiutare i torinesi – rondoliniani o assessorili o museali – a uscire dalla situazione di stallo (solo al maschile?) in cui sono finiti. Per esempio promovendo lui stesso, come suo primo atto, quella discussione su un nuovo statuto che l’Associazione Cinema Giovani è disposta ad accettare, purché non prenda le forme ultimative che ha avuto negli ultimi giorni. In questi termini, la nomina di Nanni Moretti potrebbe davvero essere la mossa decisiva, capace di riaprire produttivamente il discorso su questo così importante aspetto della vita culturale torinese. Magari anche recuperando (chi meglio di Moretti può farlo?) quell’originario riferimento al cinema dei giovani che dovrebbe restare un tratto caratteristico del Festival di Torino, deciso (chi meglio, ancora, di Moretti?) a non scimmiottare i festival «maggiori» – spesso tali solo per il glamour mercantile e le sfilate di piccole o grandi star, di cui la nostra città può fare tranquillamente a meno.

Cinema Giovani, la storia fu un’altra
La «sinistra» si inebria di «diversità culturali», poi non sa declinarne il concetto, si irrita o cancella o fonde o s’appropria. Troppi i festival in giro, no? Già si risente l’inno dei liberal di massa anti-spreco. Meglio pochi glamour festival: via gli imperfetti, piccoli, zingari, «De Bernardi»… Questo è l’oggetto della nostra polemica contro Veltroni e Chiamparino. Il prossimo passo di Roma sarà meno soldi al Tekfestival per più flani della Festa su Repubblica. Quello di Torino meno porno al gay festival. Così ieri da Libero in poi è stato un W Moretti, perché se non si è ex «pantera», ci si preoccupa meno delle regole e più della sostanza: Moretti, la grande scossa… la città giubila. Chi fa il prepotente piace anche a sinistra di Prodi. Bene. Ma l’unanimità dei mass media non fa di Valpreda il colpevole. Gli stessi giornali, per esempio, insistono sulla «festa di Roma che ha cambiato il mondo». Non abbiamo visto la stessa partita. Però. Ci sono amministrazioni «pesanti» che usano la cultura emersa per dispensare finanziamenti a tutti, opposizione compresa, accrescendo il consenso elettorale (come a Roma, martire Martone). E «amministrazioni leggere» che sanno leggere, nel sommerso, la vitalità di una città, intervenendo dove sta avvenendo «qualcosa di travolgente» e irreversibile anche se la torta è assai poco glamour. Nicolini insegna, e poi pochi altri miracoli: chi aiutò i cineclub e i centri sociali. E chi, come Novelli a Torino, riportò 24 anni fa al cinema lo scontro sociale che impose la riscrittura della storia del cinema, un festival vivente nato da: la rivista militante Ombre Rosse (Rondolino), l’Aiace più sovversivo d’Italia (Barbera…), gli archivi della battagliera signora Prolo e di Baldo Vallero paralizzati dagli Alberoni d’epoca, Gobetti… L’eccezione Torino, nonostante il nome, non fu solo Alfieri.

Perché il festival di Torino è passato al Museo del cinema
Fiorenzo Alfieri *
Sono rimasto veramente molto stupito nel leggere quanto riportato oggi sul manifesto a proposito del festival cinematografico di Torino. Poiché si parla di invadenza della politica nelle scelte culturali, ritengo mio dovere fornire qualche dato informativo evidentemente mancante. Nel 1981 ero un giovane assessore della giunta Novelli: mi occupavo tra l’altro di gioventù e turismo. Con il mio sindaco ritenemmo utile immaginare un evento capace di portare attenzione sulla nostra città, in un’epoca in cui si pensava a Torino soltanto per la Fiat e la Juventus. Scegliemmo il cinema perché a Torino era nato questo tipo di industria all’inizio del secolo e perché in quegli anni un giovane torinese interessato a fare cinema doveva necessariamente migrare in altre città. Anche per questo secondo motivo pensammo di intitolare il nostro festival «Cinema Giovani». A quell’epoca collaborava con me Silvia Ormezzano, moglie del noto giornalista sportivo, che conosceva bene il regista Ansano Giannarelli. Data la sua esperienza nel campo del cinema sociale, gli chiedemmo di provare a progettare il festival. Mi sembrò poi opportuno invitare Gianni Rondolino, noto professore di storia del cinema della nostra Università, ad essere co-direttore della prima edizione del festival «Cinema Giovani» che si tenne nell’autunno del 1982. Mi chiesi poi quale organismo avrebbe potuto organizzare materialmente l’evento e misi intorno allo stesso tavolo alcuni intellettuali torinesi: Claudio Gorlier, Francesco De Bartolomeis, Gianni Vattimo, Lorenzo Ventavoli. Proposi loro di costituire un’associazione di persone alla quale il Comune e la Regione avrebbero messo a disposizione le risorse necessarie. Se per «politica» si intende l’amministrazione di una città allora la decisione di organizzare il festival, la scelta dei direttori, l’invito stesso a costituire un’associazione capace di gestione agile ed essenziale furono tutte scelte della politica. Leggendo gli articoli apparsi oggi sul manifesto sembra invece che in quegli anni si fosse costituita una libera associazione di intellettuali che prima inventò il festival «Cinema Giovani» e poi chiese agli istituzioni di appoggiarlo economicamente. Ebbene le cose non andarono così, ma esattamente al contrario. Tre anni fa l’associazione chiese un incontro a Regione, Provincia e Comune per comunicare un significativo buco nel proprio bilancio e per chiedere il superamento della fase in cui il festival veniva organizzato da un gruppo di privati cittadini. Si ipotizzò la creazione di una fondazione costituita dai tre enti locali, dalle due fondazioni ex bancarie, dalla stessa associazione e da eventuali altri sponsor. Se l’avessimo creata le decisioni si sarebbero assunte in assemblee e consigli in cui le istituzioni sarebbero state ampiamente rappresentate. Come avviene peraltro in tutte le associazioni e fondazioni operanti nella nostra Città. Fui proprio io a proporre di non costituire una nuova fondazione ma di coinvolgere il Museo del Cinema che già lo era e che aveva per soci gli stessi enti sopra citati. E fui sempre io a consigliare che tra associazione e museo si stipulasse una convenzione per assegnare alla prima il compito di progettare il festival e al secondo di realizzarlo concretamente. Parecchi mesi fa il presidente e il direttore del Museo (Casazza e Barbera) e il presidente della Film Commission Torino Piemonte (Della Casa) richiamarono l’attenzione delle tre istituzioni locali sulla necessità di un profondo ripensamento della formula del festival e di un suo robusto rilancio. Proposi a Rondolino di fare sua la spinta al rinnovamento e di stimolare i proponenti (che avevano diretto il festival per circa un quindicennio determinandone il successo) a dimostrare con i fatti la giustezza delle loro ipotesi. La reazione di Rondolino fu subito violenta: in riunioni pubbliche sia Barbera e Della Casa sia i tre assessori vennero ricoperti di improperi e la situazione finì per travolgere anche gli strettissimi rapporti di amicizia che si erano instaurati tra noi due, provocandomi un dolore acuto e stupefatto. Non potemmo fare altro se non incaricare il Museo di organizzare la prossima edizione del festival. Barbera in pochi giorni è riuscito a portare a Torino un personaggio come Moretti e la nostra città, in moltissime delle sue componenti, ha oggi letteralmente esultato. Dopo 25 anni la «politica» è di nuovo intervenuta per assicurare le condizioni necessarie a una buona organizzazione di uno dei suoi appuntamenti culturali più prestigiosi. Adesso ritornerà nell’ombra dove è rimasta durante tutto questo tempo.
*Assessore alla cultura di Torino

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