Uccelletti & Bouroullec: design primavera-estate 2012 secondo il salone

Ok. Per un motivo o per l’altro, erano anni che mancavo. Anni. Ma tanti anni. Talmente tanti anni che quando ho spulciato l’archivio di questo blog per vedere quanti anni fossero ho scoperto che ne sono passati cinque dall’ultima volta che ho fatto un vero e proprio resoconto del salone, quindi mi perdonerete (o anche […]

Ok. Per un motivo o per l’altro, erano anni che mancavo. Anni. Ma tanti anni. Talmente tanti anni che quando ho spulciato l’archivio di questo blog per vedere quanti anni fossero ho scoperto che ne sono passati cinque dall’ultima volta che ho fatto un vero e proprio resoconto del salone, quindi mi perdonerete (o anche no) se questo resoconto sarà arrugginito, parziale e semi-sconvolto. Perché, come diceva Danny Glover, sono troppo vecchia per queste stronzate.

Innanzitutto, una precisazione: siamo lontani anni luce da quando il salone era un evento imperdibile e la zona Tortona altrettanto: quest’anno, nonostante il ritorno in fiera di aziende storiche di cui fece scalpore l’assenza come B&B (padiglione 16, in cui sfoggia uno stile decisamente floreale ed orientato all’arredo da esterno), condizioni d’esposizione e di accesso quantomai proibitive sembrano aver spinto il pubblico a non accalcarsi più di tanto intorno a Rho, e aggirandosi per le vie Savona e Tortona è impossibile non percepire il netto declino di questo punto d’aggregazione, in parte auto-cannibalizzatosi gli anni scorsi e in parte scalzato dal Brera Design District e dal circuito Ventura Lambrate. Un bene? Un male? Beh, un male per me di sicuro, che abito in zona porta Genova e avevo gli eventi fuorisalone a portata di “aspetta che vado a casa e mi cambio le scarpe”. L’aspetto positivo è sicuramente che questi (tre) nuovi poli del design si stiano evolvendo dal classico format del cocktail e stiano sperimentando nuove formule come la colazione e il brunch. Qualche esempio? Subito. In via Savona 56, con allestimento di Constance Guisset, le star per la colazione di giovedì mattina erano i Bouroullec @ Established & Sons, il cui bellissimo volume Ronan & Erwan Bouroullec Works, edito da Phaidon, merita un’occhiata anche laddove non si fosse dei fan scatenati della coppia, per la raffinata impronta prevalentemente fotografica, l’inserto dei bozzetti di studio su velina e i puntuali insight su alcune specifiche opere. Per inciso, nello spazio di Established & Sons è anche possibile ammirare il gigantesco, imperiale, arditissimo Surface Table, di Terence Woodgate e John Barnard, un’opera mostruosamente lunga con top supersottile (con trucco) e sole quattro gambe (senza trucco). Altra occasione da non perdere, e che ovviamente causa hangover ho perso, la colazione danese in corso Como 10 alla Galleria Carla Sozzani, che in partnership con Georg Jensen presentava le sculture di Kris Ruhs e incontrava la designer Ilse Crawford (con stravaganti capi d’abbigliamento ripiegati firmati Issey Miyake, ma ne parliamo in seguito).


non c’è foto che renda onore alle dimensioni di questo tavolo

Certo, non mancano anche eventi degni di nota tra le classiche feste serali, come… come… uhm… fatemi pensare… beh, la festa di Wallpaper a palazzo Brioni, in via del Gesù 4, dove la celebre rivista espone la sua personalissima selezione di piccole delizie del design, della grafica e del packaging con il suo handmade in Italy. Altro? Beh, l’esposizione da Skitsch, in via Monte di Pietà 11 con i nuovi progetti di Alessandra Baldereschi (quella delle consolle stagionali, che tra l’altro ha un delizioso sito disegnato come una casa delle bambole), Sam Baron (che l’anno scorso espose da Secondome la coppia di oggetti Habitudes, guardaroba e scatola), Marco Dessì (che non mi piace neanche un po’), Elia Mangia (che non è il refuso in una frase assertiva con soggetto femminile, bensì il nome di quel designer che produsse la first round, la sedia in metallo e legno il cui processo costruttivo è quasi più interessante del prodotto finale), Radice Orlandini (che quest’anno escono anche con l’armadio dedicato a Valentina, a lato), Marc Sadler (sicuramente il più noto del gruppo), Stefan Schöning (per visualizzare questo contenuto è richiesto un plug in). Gli teneva testa solo il party da Kristiina Lassus, che prometteva ed effettivamente manteneva una promessa di “food, wine & nice people” e presentava design finlandese di Koskinen, Kuokka, Musuta e Samuji per Iittala, Haberli, Guixé e Sandell per Nikari, Johanna Gullichsen, Karin Widnas, Seppo Koho e Tapio Anttila. Non volevo poi parlarne, ma a quanto pare è necessario: completamente da dimenticare l’evento di Kartell, che per l’occasione si mette in combutta con Lenny Kravitz per propinarci un prodotto improponibile, una mademoiselle pelosa (o, se preferite, vestita in pelle di vacca) che, se certamente non tradisce lo stile adottato da Lenny Kravitz nel suo primo periodo, sicuramente fa a pugni sui denti con lo stile di Kartell. Al contrario Missoni home, che quest’anno espone in fiera al padiglione 20, fa un percorso rovescio dal tessile al design ma sembra non dimenticare le proprie origini, proponendoci vasi a forma di gomitolo o tavolini con vetro retroverniciato nella caratteristica fantasia rigata multicolore. Senza pudore ma con grande ironia. Ma questa, come vedremo, è un’altra storia. Tornando ai fuorisalone, Alfredo Salvatori ci propone, in via Solferino proprio accanto a Boffi, una serie di nuovi prodotti in pietra tra cui i francamente discutibili capitoné in marmo di Carrara Cuscini e la panca più scomoda del mondo Galleria, entrambi ad opera di Ron Gilad, ma anche i nuovi rivestimenti raw di Piero Lissoni, in bianco di Carrara, crema d’orcia, silk georgette e pietra d’avola, oltre all’ugualmente interessante Tracce di Franz Siccardi. Molto suggestiva la location, naturalmente, ma da questo punto di vista Brera sembra avere sempre una marcia in più: è anche il caso di The Secret Garden, il suggestivo allestimento di Paola Navone che popola il delizioso piccolo orto botanico di Brera con i suoi omini di vetro soffiato Marina e Marino (lampade di Barovier & Toso, qui sotto, un prodotto del 2010), attorno alla grande nuvola blu ed ai setti in marmo di Zaha Hadid per Citco. O di Moving Out, un’unione di aziende che porta un piccolo giardino nell’abside della deliziosa chiesa sconsacrata di San Carpoforo, trasformandola in un novello San Galgano e affiancandosi a prodotti di altri espositori quali Elisabeth the Queen (it’s just art: don’t panic) e Pikta, con i suoi mobili decorati. O, ancora, dell’antica officina di biciclette Rossignoli in corso Garibaldi, che per l’occasione ospita una selezione di designer legati all’ecosostenibilità tra cui Jorien Kuipers, con i suoi oggetti ricavati dalla cartapesta e ispirati alle forme di Giorgio Morandi, e lo Studio Kepenic, che riprende sessanta vecchie giare farmaceutiche e ne fa altrettante lampade, a tiratura limitata. O di Tecno nel suo bellissimo spazio ai Caselli di porta Garibaldi (piazza XXV aprile), che quest’anno decide di darsi alla scultura con un allestimento di frammenti anatomici bianchi curato da Rodolfo Dordoni in cui si mescolano prodotti nuovi (la sedia Archipelago di Monica Forster, la poltrona Plau di Gabriele e Oscar Buratti, il sistema star del 2010 Beta 2.0 di Pierandrei Associati) e storici (l’iconico tavolo Nomos di Norman Foster o il T90 di Osvaldo Borsani).


gli omini di Paola Navone, che popolano il giardino di Brera, formano un assembramento suggestivo
ma tutti lì con il dito alzato danno un po’ l’impressione di essersi intrufolati all’interno di un rave…

Non mancano le suggestive location anche in zona Tortona, come sappiamo. Oltre al già citato salone di Established & Sons (purtroppo in coabitazione con Bisazza), Made a mano espone in via Savona 53 la sua Magma Collection, di Ilenia Indaco, corredata da prodotti ceramici come il rivestimento a parete a fitta trama New Decorations e il nipponico Komon, Barbara Abaterusso in via Savona allo stesso numero ci mostra il suo gigantesco centrino in bronzo cesellato (ci vuol coraggio), o il delizioso spazio interno con impluvium di via Savona 37 allestito dall’Ortofabbrica di Angelo Grassi che ricrea un corridoio di erbe aromatiche usando pareti di ortovasi (laboratorio San Rocco) per condurci al cospetto di un consesso composto da ospiti eterogenei quali Michele Barberio con le sue borse in legno, Heimdall con le sue casse disko, Diego Chilò con i suoi vasi Acroteri. Infine, merita una menzione speciale anche lo spazio di Seguso: nonostante i lampadari non siano esattamente il mio genere e, dovendo andare su quel genere, io preferisca concorrenti come Venini o la stessa Barovier & Toso, lo spazio Sand and Fire di via Savona 35 è deliziosamente allestito, con i grandi lampadari a cadere bassi su cerchi contenenti arnesi in legno della tradizione manufatturiera veneziana, e le pareti lasciate ad un’installazione dinamica: disegni tracciati dagli stessi visitatori, a matita bianca, su carta nera.

Come vi sentite? Siete già stanchi? Beh, non siete ancora nemmeno arrivati in fiera.

Una fiera, per citare Piero Lissoni, che vede “più concretezza e meno luccichio da kermesse post-modernista”. Ma sarà poi davvero un bene? Pochi stand emozionanti e molti stand funzionali, alcuni stand addirittura squallidi, con allestimento talmente orientato al prodotto che sembra un rappresentante debba materializzarsi da un momento all’altro cercando di vendervelo. Spiccano per originalità Kartell, che quest’anno non ritorna al solito format di bande verticali in plastica colorata e adotta una struttura complessa, con un percorso museale che accompagna attraverso l’esposizione non solo dei nuovi prodotti ma anche dei loro prototipi e bozzetti preparatori, ciascuno accompagnato da un video d’intervista al corrispondente designer. Da citare poi, anche se aziende di stampo decisamente differente, il Gruppo Sintesi, che allestisce i suoi prodotti in un susseguirsi di casette in legno con tetto in lamiera e pavimento in scricchiolante parquet, e il tedesco Nils Holger Moormann (padiglione 16), che sfrutta in modo originale il poco spazio a disposizione creando, al di là di un sipario aperto, un palcoscenico su cui si affacciano varie porte nere, ciascuna con serigrafata la linea nera del suo prodotto stilizzato, e dietro alla quale si cela, in diverse forme, il prodotto stesso. A questi esempi si affianca Vitra, al padiglione 20, che sceglie di avvolgere e suddividere il suo spazio con scatole di plastica opalina illuminate dal basso, e di movimentarlo poi con setti in legno, pedane e barriere d’arredo come il lunghissimo divano alcove in feltro grigio con vista su una parete di mensole corniches, sempre dei Bouroullec, in abs lucido bianco con tocchi di rosso e nero (e uno stravagante styling aviforme). Che quest’anno sia l’anno di Erwan e Ronan sembra innegabile. Ma sarà anche l’anno degli uccelli? Come sempre, c’è chi lo spera, probabilmente incoraggiato anche dalle nuove lampade “a tema” di Pier Paolo Pitacco per Alessi (in esposizione allo showroom di via Manzoni e qui sotto). Io invece spero che ad Olivari non venga mai più in mente di rivestire i suoi espositori, che altrimenti sfoggerebbero una decorosa finitura specchiata scura, con quelle poetiche fotografie di uccelletti in volo. Inguardabile, quasi quanto le nuove maniglie (fatta salva forse la stranamente sobria Globe di Giovannoni). Infine, anche se non si tratta di uno stand stravagante quanto di un allestimento quasi fine a se stesso, non si può non segnalare il Bolon by Missoni, al padiglione 16 ma presentato anche allo showroom Missoni di via Solferino 9, che in fiera (con la partecipazione di Jean Nouvel) sceglie di mettere in mostra un uomo monocromatico nero in pose francamente assai simili a quelle dell’uomo antigravitazionale fotografato tempo fa da Philippe Ramette.


I love animals: quest’anno i designer si sono dati al birdwatching, con risultati alterni

A margine, tutto un magico mondo legato al salone, che è quello del cosiddetto styling. Padiglioni con arredi oggettivamente brutti o banali, che vengono valorizzati da un allestimento d’oggettistica affascinante a complemento: è il caso di Rolf Benz, che quest’anno propone cassette di legno e raffinati pezzi d’illuminazione vintage tra cui uno sputnik, o di Zaini che per le sue poltrone si vota anima e corpo al pinguino. C’è poi chi è in fiera per esporre esclusivamente oggettistica, e quest’anno come ogni anno è il regno delle porcellane e dei tappeti. Per le porcellane, colpiscono le sottilmente inquietanti oloturie Naturalia con cuori decorati di Fos ceramiche, le delicate forme di Rina Menardi, Kose al padiglione 16 (nonché a un tiro di sputo da casa mia anche se giuro che non l’avevo mai notato prima), o i barocchissimi prodotti dorati per stomaci forti di Villari (doppia dose ai padiglioni 24 e 4). Il tripudio del tappeto, invece, vede Ruckstuhl triste in un angolo e chiunque, ma veramente chiunque compresa mia nonna (se solo fosse riuscita a ottenere uno spazio in fiera), a proporre tappeti persiani patchwork: DesignerCarpets (nota agli addetti del settore per essere il tappetaio tedesco di Armani), Sirecom (che a onor del vero propone anche un tappeto Mondrian con colori originali che… beh, lasciamo perdere), i bravi ragazzi della G.T. design, lo splendido stand di Kasthall (che quest’anno, al padiglione 16, si mette in partnership con Paola Navone e ci offre un allestimento raffinato di scatole a parete, che ospitano oggetti della tradizione tessile lombarda e non solo), il sempre interessante Nanimarquina che quest’anno compie 25 anni (e lo fa anch’esso al padiglione 16), Sartori, persino Elite con il suo Patch.

Ma qualcuno mi potrebbe dire: “Brutta bestia, hai detto che è un salone all’insegna del prodotto e non ne hai ancora nominato neanche mezzo”. Vero. Quindi, ecco una carrellata con la mia personalissima classifica dei dieci migliori nuovi prodotti di quest’anno, in ordine inverso di gradimento.

n. 10

Al numero 10, le nuove carte da parati di Hermès distribuita da Dedar che prosegue una collaborazione nata l’anno scorso e, nel mucchio, proprio la più intricata, l’affresco equestre Pêle-mêle che con le sue linee sottili su sfondo avorio ritorna alle origini riallacciandosi con il suo più nobile antenato, l’arazzo. Un guazzabuglio di cavalieri che neanche un quadro di Hieronymus Bosch.

n. 9

Al numero 9 un’altra carta da parati naive, a scelta tra In the rain e Mountain Friends, entrambe prodotte da Ferm, di cui consiglio comunque tutta la linea del tessile e degli oggetti in legno destinati ai bambini, non ultimi la dollhouse e lo story mobile, oltre ad oggetti per la cucina come i due chemistry flask.

n. 8

Al numero 8, stranamente per i miei gusti, l’installazione Hidden Dragon e relativo divano di Moroso in via Solferino, con cui l’azienda decide di festeggiare i suoi sessant’anni abbandonando, anche in fiera (padiglione 16), lo stile che da qualche anno ripeteva se stesso e proponendoci un’installazione raffinata e concettuale, con un drago cinese nascosto nel dipinto di questo grande paravento continuo dipinto a china da Zhang Ke, già designer anche per Alessi.

n. 7

Al numero 7, i pannelli acustici Twist Wall Panels, delicate forme geometriche mutuate ancora una volta dalle forme dell’origami e proposte da Jiyoon Kim presentata al Salone Satellite dal Melbourne Movement: ogni elemento, disponibile in cinque varianti, è modulare e può essere composto all’infinito per ricoprire la parete a seconda delle performance d’isolamento richieste. Gli elementi esposti sono fatti a mano sfruttando la tecnica coreana della carta pesta chiamata han-ji.


n. 6

Al numero 6, il fermalibro Link di Tomomi Naito, in legno e tessuto, che ripiegato va ad avvolgere il libro in una confezione che ricorda da vicino la cinghia di uno studente d’altri tempi: lo presenta la Kobe University, giapponese, nell’ambito del padiglione Design Soil al salone satellite, e lo affiancano i delicatissimi (e altrettanto inutili, ma molto poetici) stand per seccare i fiori Fadeless di Nobu Miake. Parlando di poesia, meritano una menzione anche i ragazzi di Hillside Out, che presentano una nostalgica linea di arredi in legno e materiali trasparenti in cui vecchie diapositive vengono retroilluminate a creare un’installazione domestica di straordinaria delicatezza.

n. 5

Al numero 5, la sedia a dondolo Spun di Magis, un oggetto giocoso in forma di bobina da tessitura disegnato da Thomas Heatherwick e che quest’anno domina l’allestimento dello showroom in corso Garibaldi, accanto ad un Fritz Hansen che espone ventiquattr’ore su ventiquattro un povero cristo impegnato a cucire a mano le poltrone.


n.4

Al numero 4, le sedute trasportabili in legno presentati dall’istituto tecnico serbo Wood Art, e in particolare la Shutter di Stefan Pesut a chiusura magnetica (la cui geometria risultante piacerebbe sicuramente a Issey Miyake), la Bunny di Kevin Romanet (il cui meccanismo di chiusura appariva straordinariamente fluido e semplice, fino a che non l’ho provato e non ho scoperto che è anche migliore di quello che sembra), la Atom di Giulia Menegaldo (una sedia-trespolo-trasporto per palla veramente raffinato nella sua giocosità) e la romantica Valentino di Roberto Morson.


n.3

Al numero 3, a parimerito, i due nuovi prodotti di Piero Lissoni per Glas Italia: Magic Box e Dr. Jekyll & Mr. Hyde. Sarà perché sono pezzi di una semplicità assoluta ed in questo risiede il loro fascino, sarà perché la selezione dei colori è spettacolare, sarà per il modo raffinato in cui giocano, come sempre, tra il guscio esterno e l’interno, sarà per il meccanismo da orgasmo che ne movimenta le antine.

n. 2

Al numero 2, la lanterna di carta da soffitto IN-EI SQ 018 di Issey Miyake per Artemide, che sembra frutto di quello studio tutto giapponese sulla geometria della piega, quest’anno in mostra anche alla già citata Galleria Carla Sozzani con una stanza di abbigliamento ripiegato.

E, al numero 1, anche quest’anno si piazza una cosa vista al Salone Satellite: è il bicchiere mediopiccolo, inventato dallo studio Acquacalda di Sara Petrucci e Federica Castagno, gli stessi autori del set da taglio Diversamenteuguale.

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n. 1

Basato sulle proporzioni geometriche tra cono e cilindro (tre coni formano un cilindro ed è quindi possibile usarne uno per dividerlo in due parti l’una il doppio dell’altra) è un oggetto elegante e di assoluta praticità. E poi è un oggetto per bere, quindi in piena armonia con lo spirito di questi giorni.

Qualche menzione speciale, in chiusura.

Il premio charme 2012
va a
Pacific Green,
al cui stand (padiglione 8) ho potuto intavolare con un delizioso anziano gentiluomo australiano una lunga discussione sulla condizione del design italiano,
circondata dai suoi arredi in legno di palma e pelli vissute.

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Il premio stand inutile
se lo aggiudica
Calligaris,
con la sua improponibile distesa di pareti retroilluminate decorate da poetici (?) cieli sereni-poconuvolosi.

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Il premio sadismo 2012,
è vinto
dallo sgabello Bambi,
un piccolo e innocente cerbiattino che Kamina & c prende e trasforma in arredo,
con soddisfazione di tutti quelli che hanno sempre trovato insopportabile
(attendiamo, per l’anno prossimo, anche la Tippete chair).

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Siete contenti?
Siete scontenti?
Vi siete persi qualcosa?
Beh, il salone e i relativi eventi durano fino a domani:
gambe in spalla e fegato in tasca.

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