Roma vs Milano
Joe Ledbetter, "Angel Bunny & Devil Bunny" Dal Manifesto di oggi. In realtà c’è da dire che, nella mia esperienza, i miei amici romani giudicano Milano assai peggio di quanto io giudichi Roma (ovvero la considero un gran bel pezzo d’arte ma non ci vivrei per nessun motivo al mondo). In particolare questa signora è […]
Dal Manifesto di oggi.
In realtà c’è da dire che, nella mia esperienza, i miei amici romani giudicano Milano assai peggio di quanto io giudichi Roma (ovvero la considero un gran bel pezzo d’arte ma non ci vivrei per nessun motivo al mondo). In particolare questa signora è convinta di vivere nella migliore delle città. Lasciamoglielo credere. *___^ Da due secoli in competizione – Grazia Pagnotta
Milano efficiente capitale morale, Roma burocratica e incompetente capitale politica: Francesco Bartolini in Rivali d’Italia. Roma e Milano dal Settecento a oggi, (Laterza, pp. 327, euro 18), analizza questo antagonismo sottolineando l’evoluzione storica di un discorso pubblico, tra i più importanti e solidi della formazione del paese, che ha contribuito a costruire e trasformare l’identità italiana, evidenziandone la sua stratificazione politico-culturale. L’autore pone l’attenzione su quella che è la storia di un’idea usando gli strumenti dello storico, impiegando come oggetto di analisi e fonte non lo solo discorsi e testi, ma anche eventi e celebrazioni, architetture, piani urbanistici e opere cinematografiche. Il punto di partenza è la constatazione che «non è quasi mai esistito un puro e semplice confronto tra le due città, quanto piuttosto una rigida contrapposizione fondata, di volta in volta, su argomentazioni e rivendicazioni etnico-culturali, socio-economiche, politiche. Ed è stata pressoché sempre Milano, nel secolo e mezzo di storia nazionale, ad accendere la disputa, a enfatizzare le differenze, valorizzando le autorappresentazioni municipali costruite sull’irriducibilità della propria vocazione a quella della capitale politica». Bartolini innanzitutto ci rivela quanto lontane nel tempo siano le radici di questa contrapposizione: nell’alto medioevo, con l’affermazione istituzionale del cristianesimo che fece delle due città i suoi centri principali sollecitando così le dispute, per poi acquisire nel Settecento una dimensione più ampia, laica, culturale e ideologica. Fu allora che Milano elaborò sia un’idea di propria modernità e la usò come strumento di coesione sociale interna, sia un’idea di Roma come luogo della tradizione e delle istituzioni. Ma, scrive l’autore, «non si tratta semplicemente di una contrapposizione tra "modernità" e "tradizione", quanto piuttosto di un confronto tra due diverse "tradizioni" della penisola, una comunale-municipalistica e l’altra statale-universalistica, due matrici che continuano a connotare immagini e autorappresentazioni delle due città anche dopo l’Unità». L’excursus temporale ci conduce lungo l’Italia napoleonica, quella del Risorgimento con le Cinque giornate di Milano e la Repubblica Romana, l’unità con la nuova capitale e poi con l’Esposizione industriale di Milano e la legge speciale per Roma, l’inizio del ‘900 con una capitale sotto l’egemonia nazionalista e una Milano socialista, l’urbe imperiale e la «Grande Milano» del fascismo, e poi dopo la liberazione, la Milano antifascista e la capitale democristiana e cattolica, più tardi la Milano craxiana e la Roma andreottiana, tangentopoli e le critiche a Roma ladrona, fino alla Roma del Duemila. Milano si è imposta sulla scena nazionale come città guida soprattutto negli anni ’80, come la prima città «postmoderna» del paese, cuore di nuovi stili di vita e nuovo centro politico nazionale. E’ la craxiana «Milano da bere» che rivendica più poteri e autonomia e che sarà travolta da tangentopoli. Roma, invece, spiega Bartolini, si è posta come centro propulsore del paese soltanto due volte durante il lungo arco di tempo analizzato: con il fascismo e nel Duemila. Già la retorica interventista della I guerra mondiale aveva dato alla città ampia visibilità e attenzione, ma fu con la marcia su Roma e l’insediamento del fascismo nelle istituzioni nazionali che le polemiche antiroma furono rimosse e, con una «reinvenzione della romanità», si costruì il mito dell’Urbe. Non si trattò soltanto di riabilitazione retorica della città ma anche di un impegno nella trasformazione della sua fisionomia. Così Roma alla fine degli anni Venti era contraddistinta da un’immagine di efficienza e attivismo attribuiti precedentemente a Milano, mentre il capoluogo lombardo languiva, con un partito fascista locale che faticava ad affermarsi. Di fronte a questo «potenziamento e dilatazione del significato simbolico di Roma», per Milano non c’era più posto. Quanto al presente, mentre Milano ha pochi meriti da vantare, Roma ha saputo trovare una sua identità. Per Bartolini «oggi, che il potere di una metropoli occidentale non è più misurato dalla grandezza delle fabbriche e dal numero degli operai quanto piuttosto dal ruolo occupato nel sistema della comunicazione globale, Roma può indubbiamente giovarsi della forza evocativa del suo profilo internazionale per consolidare la sua supremazia nazionale. Milano, invece, pur avendo anticipato l’ingresso nella postmodernità, è stata costretta dallo choc di Tangentopoli a rifugiarsi nella tradizione, assolutizzando quei valori tipici dell’efficienza e dello sviluppo che non sono però sufficienti a sostituire il mito compromesso della "capitale morale"». Milano per Bartolini nel nuovo secolo non è ancora riuscita a elaborare un’autorappresentazione con cui darsi ruolo e proporsi al paese e all’estero. Comunque per la prima volta nella lunga storia analizzata, negli ultimi anni le due città cercano di stemperare i toni della contrapposizione e di riportarla in una «collaborazione competitiva», per valorizzare le necessità comuni e insieme ottenere di più dal governo nazionale. Così Veltroni e il precedente sindaco di Milano Albertini hanno promosso iniziative pubbliche in questa direzione. Ma nonostante i rivolgimenti culturali nel ruolo delle due città, secondo un sondaggio del 2002, un aspetto sembra rimanere identico: i milanesi giudicano Roma peggio di come i romani considerano Milano.